S&P vede quasi rosa: «Non c’è un caso Italia Pil +5,3% nel 2021»
Rischi in linea con Europa per le imprese. Banche, resta l’incognita Npl
Non esiste un «caso Italia». Standard & Poor’s Global Ratings non intende sbilanciarsi per il momento sulle conseguenze di una crisi di Governo, preferendo attendere di capire quale piega prenderanno le vicende politiche nostrane. Basandosi sui fondamentali economici traccia tuttavia un quadro piuttosto confortante: l’uscita da Covid è ancora avvolta nell’incertezza e sarà comunque complessa, ma per l’agenzia di rating - che tornerà a pronunciarsi sul nostro debito pubblico il 23 aprile - l’Italia si muove in linea con il resto dell’Europa.
«Stavolta non è in ritardo», ha detto chiaramente Sylvain Broyer, capoeconomista di S&P alla conferenza stampa di inizio anno. E lo ha fatto mostrando le previsioni economiche dell’agenzia che, dopo il tonfo del 2020 (-8,7%) proiettano quest’anno il nostro Paese verso una ripresa del 5,3% di poco superiore al 4,8% atteso in Europa, prima di un successivo assestamento (+3,2%) nel 2022. L’Italia resta quindi pienamente inserita in un contesto globale nel quale si vivranno «due storie»: «A una probabile contrazione del Pil nella prima metà 2021 - aggiunge Broyer - si succederà una forte ripresa trainata dai servizi e dal piano Next Generation».
La differenza rispetto all’Europa non la si apprezza neanche quando si parla delle imprese e della loro solidità. È Renato Panichi, Senior Director Corporate Ratings di S&P, a negare in maniera diretta l’esistenza di un «caso Italia», quando nota riguardo all’evoluzione dei rating come la percentuale di aziende nazionali con outlook negativo, pur in crescita dal 33% al 42% dallo scoppio della pandemia, sia sostanzialmente allineata al 41% della media europea. Certo, ricorda Panichi, dietro al dato medio esistono «forti differenze in base alla dimensione aziendale, ma anche ai settori in cui le società operano, alla loro esposizione verso l’estero e in particolare verso aree più dinamiche come la Cina, e all’apertura verso i temi della digitalizzazione e della sostenibilità». Quando poi si guarda soprattutto alle Pmi c’è pure da considerare il sostegno delle moratorie e delle garanzie pubbliche, «che una volta venuto meno potrebbe far risalire il tasso di insolvenza delle imprese italiane attualmente intorno al 5% fino all’8 per cento». Nel complesso però, secondo S&P, i numeri raggiunti nel 2008 e nel 2013 resteranno lontani e sia ricavi, sia utili aziendali torneranno ai livelli pre-Covid nel corso del 2022 nel caso dello scenario di base o un anno più tardi, se vi saranno nuove complicazioni nell’evoluzione della pandemia.
Più complessa invece la situazione all’interno del nostro sistema bancario, per il quale il 2021 sarà «l’anno della grande prova», come titola un rapporto sul settore pubblicato proprio ieri da S&P Global Ratings. Il nodo sotto questo aspetto resta legato alle sofferenze «destinate - come ha ricordato Mirko Sanna, Director Financial Institutions dell’agenzia - a raddoppiare rispetto ai minimi raggiunti a novembre 2019 fino a raggiungere i 200 miliardi di euro», una volta che le moratorie scadranno.
«Per il biennio 2021-2022 stimiamo un costo del credito in crescita a 260-280 punti base e crediamo che gli accantonamenti delle banche siano stati finora conservativi, anche se vi sono differenze significative fra i vari istituti», ammette Sanna, che tuttavia nota una situazione «incoraggiante rispetto al passato, perché le perdite saranno sostenibili e inferiori e le banche hanno una struttura del capitale mediamente più solida, anche se la capacità di risposta alla crisi dipenderà dalla struttura di ciascuno».
Resta poi vivo il tema di possibili nuove aggregazioni nel settore dopo l’operazione Intesa-Ubi, un fenomeno che Covid potrebbe favorire. «L’attuale crisi accelererà i cambiamenti strutturali, tra cui il consolidamento, di cui il sistema bancario italiano necessita, e aumenterà il gap tra istituti, anche in termini di redditività» spiega Sanna, ribadendo concetti già espressi in una precedente intervista a Il Sole 24 Ore e delineando un futuro in cui vi sarà «una polarizzazione sempre più marcata tra grandi banche in grado di investire in modo massiccio, istituti più agili che sapranno adattarsi ai nuovi modelli digitali e nel mezzo una platea di operatori medi che per sopravvivere dovrà decidere quale delle due strade prendere».