L’industria italiana frena in novembre: produzione a -4,2%
Lucio Poma (Nomisma): «Rimbalzo non esaurito, ma Paese a due velocità»
Con un calo della produzione industriale italiana del 4,2% su base annua, i dati Istat relativi al mese di novembre confermano il progressivo raffreddamento del rimbalzo produttivo registrato nei mesi estivi. Rispetto a ottobre, il calo è dell’1,4%, e il dato cumulativo gennaio-novembre vede un calo del 12,1%, ma l’andamento degli ultimi tre mesi considerati (settembre-novembre) resta ancora positivo rispetto al trimestre precedente, con una crescita del 2,1%, che risente ancora della spinta post lockdown.
Il calo riguarda tutti i comparti industriali, con una tenuta sostanziale (-0,2%) soltanto per i beni intermedi (prodotti chimici, prodotti in metallo, apparecchi elettrici, industria del legno e fabbricazione di tessuti), che potrebbe riflettere una tenuta degli ordini da parte dell’industria. Male invece i beni di consumo (-9,8%), con un calo particolarmente accentuato per il tessile-abbigliamento (-26,7%), e l’energia (-5,6%).
Ovviamente le medie statistiche non riescono a raccontare la tante sfumature dell’industria italiana, osserva Lucio Poma, capo economista di Nomisma, con settori che nel 2020 sono andato comunque molto bene, come la farmaceutica, l’alimentare e il packaging, aree del Paese che hanno tenuto meglio di altre e, soprattutto, un manipolo di imprese innovative e strutturate che non sono state fermate dal Covid. «Per questo non ritengo che questi dati riflettano la fine del rimbalzo nella produzione – spiega Poma –. Un calo del 4,2% nell’anno del Covid per me non è un dato negativo. A fine anno abbiamo quasi recuperato i valori del 2019, perciò possiamo dire che la manifattura ha reagito molto bene alla crisi, come dimostra anche il buon andamento della Borsa». A preoccupare, semmai, è che il Covid sembra avere accentuato la dicotomia che ormai da alcuni anni caratterizza l’economia del nostro Paese. «La ripresa non è a V o a U, ma a K – osserva Poma –, ovvero è una ripresa selettiva. C’è una parte del Paese che cresce: quella che investe in ricerca e innovazione, in tecnologie 4.0, e che alla fine del primo lockdown ha recuperato le perdite a ritmi impressionanti, arginando quelle dell’altra parte dell’industria, che invece è ferma». Il problema, semmai, è che il calo progressivo registrato dall’Istat fotografa il fatto che il Covid ha reso ancora più debole chi era già debole. Tanto che, azzarda Poma, anche la crescita delle imprese più sane e innovative della manifattura fatica a trascinare con sé le altre.
«Il rimbalzo non si è esaurito, ma attenzione – mette in guardia l’economista -: è il rimbalzo della manifattura 4,0, quella che va più forte. Il mio timore non è che il Covid fermi questo recupero, ma che metta in ginocchio le imprese già deboli, tanto che la crescita di quelle più forti non sia più in grado di compensare».
C’è un altro aspetto da considerare: «La manifattura, che è il cuore dell’economia italiana, tradizionalmente ha sempre fatto da traino anche per il terziario. La pandemia, che ha colpito fortemente proprio i servizi, ha interrotto questo meccanismo: la locomotiva italiana continua a correre, ma con molti meno vagoni attaccati».