UN MODO NUOVO DI FARE CULTURA E SVILUPPO
Il rapporto tra pubblico e privato, nell’ambito del sistema dei beni culturali è caratterizzato da un’atavica e reciproca diffidenza. Questa caratteristica ha inciso su ogni tentativo di costruire, anche giuridicamente, un quadro normativo volto invece a favorire un corretto e proficuo scambio e un utile apporto di entrambi a tutela e valorizzazione del patrimonio culturale italiano. Le motivazioni di questa difficile relazione hanno radici profonde nel nostro quadro normativo per cui i rapporti tra pubblico e privato nell’ambito del sistema culturale sono stati paragonabili a quelli tra un padre severo e un figlio discolo se non furbo o addirittura delinquente.
La stessa nascita del ministero dei Beni culturali, programmaticamente definito già nel nomen “per” i beni culturali, rimarcava la volontà di creare un organo prevalentemente tecnico, dove raccogliere, in buona parte, le competenze e le funzioni in materia di tutela che erano prima del ministero della Pubblica istruzione. Una visione ideologica che ne ha costruito i caratteri fondativi ha pervaso e pervade tutti gli ambiti, giuridicamente rilevanti, afferenti alle funzioni ministeriali, e ha trovato ulteriore conferma nel ormai desueto e in larga parte superato, Codice dei beni culturali, nonostante timidi interventi volti a introdurre elementi di maggior coinvolgimento della partecipazione dei privati nella valorizzazione dei patrimonio culturale italiano. Questa visione ottocentesca di uno Stato padrone e padre, vive ancora oggi e il cammino per riequilibrare i rapporti con i privati, in questo settore è ancora lungo.
Va riconosciuta agli ultimi ministri – e all’attuale, specie nel suo primo mandato – una volontà riformatrice volta nella giusta direzione della creazione di una maggiore responsabilizzazione e coinvolgimento del privato nella gestione proficua dei beni culturali e una rafforzata costruzione di nuovi istituti giuridici capaci di creare opportunità di crescita, anche economica e occupazionale. Il percorso, tracciato per linee e indicazioni, nel dibattito recente, così come gli importanti quanto illuminanti contributi di Francesco Rutelli, Innocenzo Cipolletta e Antonio Calabrò all’esito della giusta sollecitazione della vicepresidente di Confindustria Maria Cristina Piovesana conduce a una necessaria riflessione su come approfittare della pandemia per trasformare in opportunità le condizioni drammatiche in cui essa ci ha costretto e provare a rendere il sistema dei beni culturali, il più colpito in termini economici e strutturali, in volàno per la ripartenza economica del Paese.
Per fare questo occorrono scelte forti e coraggiose.
Innanzitutto andrebbe rivisto il Codice dei beni culturali per ampliare e rafforzare la sfera di coinvolgimento e partecipazione del sistema privato nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale italiano.
REVISIONE DEL CODICE, ZES CULTURALI PER FAVORIRE L’INCONTRO PUBBLICO-PRIVATI
Costruire una definizione giuridicamente rilevante e riconoscere uno status ben delineato della figura, sempre più rilevante per il nostro sistema economico, delle imprese creative e culturali, oggi nel limbo di una pressoché assenza di copertura normativa adeguata che ne configuri davvero la natura e la funzione tali da differenziarle da tutte le altre attività imprenditoriali.
Creare delle Zone franche culturali o Zes della Cultura nelle aree urbane, come già autorevolmente proposto, in particolare, in quelle con maggiori necessità di recupero e rilancio socioeconomico, dove incentivare, attraverso appositi strumenti non solo di natura fiscale, l’insediamento di botteghe d’arte e imprese creative e culturali.
Introdurre l’istituto giuridico della “Dichiarazione di stato di calamità culturale” per quelle aree, non solo urbane dove la presenza di istruzioni e luoghi della cultura pubblici e privati è del tutto assente o quasi inesistente, al fine di incentivare investimenti pubblici di recupero sociale per l’apertura di centri ricreativi, educativi e culturali in queste aree. La “cultura cura”, è ormai scientificamente provato come i luoghi della cultura e la loro corretta fruizione siano, difatti, oltre a dei luoghi preposti a curare dall’ignoranza e dalla povertà educativa, dei presìdi di ausilio medico che curano pazienti affetti da varie patologie specie di natura psichiatrica, oggi purtroppo in grande aumento. A tal fine occorre destinare una, seppure piccola, parte dei fondi del piano Next Generation Eu a finanziare progetti specifici in questa direzione. Nel breve periodo, sarebbe anche necessario, in carenza di spazi per aumentare i luoghi dove effettuare le vaccinazioni e amplificare la consapevolezza sul tema, riaprire i luoghi della cultura con queste specifiche finalità di cura ed educazione.
Molte e altre possono essere le strade per trasformare l’attuale rapporto pubblico privato nel sistema culturale italiano. Sarebbe davvero strano, oltre che inopportuno e fuori tempo, non riconoscere alla sfera generativa della creatività dell’uomo questo valore essenziale per costruire una società all’altezza delle nuove sfide che l’aspettano.
Presidente Associazione Cultura Italiae