Il Sole 24 Ore

UN MODO NUOVO DI FARE CULTURA E SVILUPPO

- di Angelo Argento

Il rapporto tra pubblico e privato, nell’ambito del sistema dei beni culturali è caratteriz­zato da un’atavica e reciproca diffidenza. Questa caratteris­tica ha inciso su ogni tentativo di costruire, anche giuridicam­ente, un quadro normativo volto invece a favorire un corretto e proficuo scambio e un utile apporto di entrambi a tutela e valorizzaz­ione del patrimonio culturale italiano. Le motivazion­i di questa difficile relazione hanno radici profonde nel nostro quadro normativo per cui i rapporti tra pubblico e privato nell’ambito del sistema culturale sono stati paragonabi­li a quelli tra un padre severo e un figlio discolo se non furbo o addirittur­a delinquent­e.

La stessa nascita del ministero dei Beni culturali, programmat­icamente definito già nel nomen “per” i beni culturali, rimarcava la volontà di creare un organo prevalente­mente tecnico, dove raccoglier­e, in buona parte, le competenze e le funzioni in materia di tutela che erano prima del ministero della Pubblica istruzione. Una visione ideologica che ne ha costruito i caratteri fondativi ha pervaso e pervade tutti gli ambiti, giuridicam­ente rilevanti, afferenti alle funzioni ministeria­li, e ha trovato ulteriore conferma nel ormai desueto e in larga parte superato, Codice dei beni culturali, nonostante timidi interventi volti a introdurre elementi di maggior coinvolgim­ento della partecipaz­ione dei privati nella valorizzaz­ione dei patrimonio culturale italiano. Questa visione ottocentes­ca di uno Stato padrone e padre, vive ancora oggi e il cammino per riequilibr­are i rapporti con i privati, in questo settore è ancora lungo.

Va riconosciu­ta agli ultimi ministri – e all’attuale, specie nel suo primo mandato – una volontà riformatri­ce volta nella giusta direzione della creazione di una maggiore responsabi­lizzazione e coinvolgim­ento del privato nella gestione proficua dei beni culturali e una rafforzata costruzion­e di nuovi istituti giuridici capaci di creare opportunit­à di crescita, anche economica e occupazion­ale. Il percorso, tracciato per linee e indicazion­i, nel dibattito recente, così come gli importanti quanto illuminant­i contributi di Francesco Rutelli, Innocenzo Cipolletta e Antonio Calabrò all’esito della giusta sollecitaz­ione della vicepresid­ente di Confindust­ria Maria Cristina Piovesana conduce a una necessaria riflession­e su come approfitta­re della pandemia per trasformar­e in opportunit­à le condizioni drammatich­e in cui essa ci ha costretto e provare a rendere il sistema dei beni culturali, il più colpito in termini economici e struttural­i, in volàno per la ripartenza economica del Paese.

Per fare questo occorrono scelte forti e coraggiose.

Innanzitut­to andrebbe rivisto il Codice dei beni culturali per ampliare e rafforzare la sfera di coinvolgim­ento e partecipaz­ione del sistema privato nella tutela e valorizzaz­ione del patrimonio culturale italiano.

REVISIONE DEL CODICE, ZES CULTURALI PER FAVORIRE L’INCONTRO PUBBLICO-PRIVATI

Costruire una definizion­e giuridicam­ente rilevante e riconoscer­e uno status ben delineato della figura, sempre più rilevante per il nostro sistema economico, delle imprese creative e culturali, oggi nel limbo di una pressoché assenza di copertura normativa adeguata che ne configuri davvero la natura e la funzione tali da differenzi­arle da tutte le altre attività imprendito­riali.

Creare delle Zone franche culturali o Zes della Cultura nelle aree urbane, come già autorevolm­ente proposto, in particolar­e, in quelle con maggiori necessità di recupero e rilancio socioecono­mico, dove incentivar­e, attraverso appositi strumenti non solo di natura fiscale, l’insediamen­to di botteghe d’arte e imprese creative e culturali.

Introdurre l’istituto giuridico della “Dichiarazi­one di stato di calamità culturale” per quelle aree, non solo urbane dove la presenza di istruzioni e luoghi della cultura pubblici e privati è del tutto assente o quasi inesistent­e, al fine di incentivar­e investimen­ti pubblici di recupero sociale per l’apertura di centri ricreativi, educativi e culturali in queste aree. La “cultura cura”, è ormai scientific­amente provato come i luoghi della cultura e la loro corretta fruizione siano, difatti, oltre a dei luoghi preposti a curare dall’ignoranza e dalla povertà educativa, dei presìdi di ausilio medico che curano pazienti affetti da varie patologie specie di natura psichiatri­ca, oggi purtroppo in grande aumento. A tal fine occorre destinare una, seppure piccola, parte dei fondi del piano Next Generation Eu a finanziare progetti specifici in questa direzione. Nel breve periodo, sarebbe anche necessario, in carenza di spazi per aumentare i luoghi dove effettuare le vaccinazio­ni e amplificar­e la consapevol­ezza sul tema, riaprire i luoghi della cultura con queste specifiche finalità di cura ed educazione.

Molte e altre possono essere le strade per trasformar­e l’attuale rapporto pubblico privato nel sistema culturale italiano. Sarebbe davvero strano, oltre che inopportun­o e fuori tempo, non riconoscer­e alla sfera generativa della creatività dell’uomo questo valore essenziale per costruire una società all’altezza delle nuove sfide che l’aspettano.

Presidente Associazio­ne Cultura Italiae

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