QUEI FORTI RINCARI DEI PRODOTTI ALIMENTARI
Dopo un brusco calo durante lo shock pandemico di marzo-maggio 2020 l’indice benchmark della Food and Agriculture Organization (Fao, Food Price Index Fpi) che tiene traccia delle principali commodity alimentari sui mercati mondiali ha registrato un +18% in 7 mesi consecutivi di crescita. A trainare la crescita sono i prezzi degli oli vegetali (tra cui l’olio di palma) e dei cereali; più contenuto l’incremento dei prezzi dello zucchero e dei prodotti caseari.
Tra febbraio e maggio 2020 la crisi pandemica ha provocato una violenta caduta dei prezzi nonostante le interruzioni sulle catene logistiche di approvvigionamento. Infatti la resilienza del sistema di distribuzione si è rivelata maggiore del previsto, mentre si è sottovalutato lo shock deflazionistico a seguito dei lockdowns del mondo industrializzato e delle grandi economie emergenti.
Il crollo del prezzo del petrolio ha inoltre de facto cancellato la domanda di combustibili basati su oli vegetali, esacerbando la discesa dell’indice.
Con la riapertura delle principali economie mondiali, il trend discendente si è invertito per quasi tutte le principali commodity e già ad ottobre il calo dei prezzi era riassorbito.
Ciò che preoccupa i governi mondiali è la possibile persistenza del fenomeno ben oltre il 2021. È verosimile che l’epidemia abbia provocato cambiamenti permanenti nel comportamento di consumatori e operatori del mercato.
I fattori che stanno determinando il rialzo dei prezzi sono molteplici.
In primis c’è forte pressione alla ricostituzione delle scorte da parte delle grandi economie emergenti: Cina, India, Brasile. La Cina ha avviato un piano aggressivo che ha coinvolto anche il settore dell’allevamento e quello dei cereali utilizzati per l’alimentazione animale, colpiti dalla peste suina africana. Le importazioni cinesi di mais dagli Usa sono triplicate da 7 a 22 milioni di tonnellate.
Sono raddoppiati anche gli ordini di grano da parte di importatori medio-orientali e del Nord-Africa. È verosimile che la crisi attuale spinga i governi dei Paesi emergenti verso la costituzione di scorte alimentari strategiche, in analogia con quanto accaduto dopo le crisi petrolifere globali degli anni ’70 e quelle valutarie degli anni ’90 in Asia.
Peraltro la siccità ha colpito i raccolti in tutto il mondo, specialmente nel Sud America, più esposto al rischio climatico; tuttavia anche la Russia sta subendo conseguenze significative.
A ciò si sovrappone il costo raddoppiato del trasporto merci via mare, con tempi medi di attesa per l’evasione di ordini a tre, quiattro mesi, e la speculazione finanziaria. A novembre, hedge fund e speculatori detenevano posizioni “lunghe” nette in futures e opzioni su materie prime agricole a livelli record, dopo 22 settimane di rialzi.
L’inflazione delle commodities alimentari (c.d. food inflation) è pericolosa dal punto di vista della stabilità politica ed economica delle economie importatrici, specie se queste non possono far fronte all’incremento dei costi attingendo a riserve valutarie o ricorrendo al l’emissione di debito estero. Nel 2007-2008, la più grave siccità del XXI secolo fece balzare i prezzi a livelli record, innescando rivolte alimentari in numerosi Paesi africani. Nel 2010 Il divieto di esportazione di grano da parte della Russia portò ad un grave evento di food inflation che innescò la “Primavera Araba”. Pochi giorni fa, in Kashmir proteste violente per i prezzi elevati del grano hanno rialzato la tensione in una regione ad alto rischio geopolitico.
In definitiva, anche se appare lontano dai problemi più pressanti che riguardano direttamente l’economia nazionale, il controllo dei prezzi dei beni alimentari sui mercati internazionali è un tassello fondamentale per una ripresa economica globale più rapida e incisiva possibile.
Direttore Generale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopli á@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali
‘‘ I fattori che stanno determinando il rialzo dei prezzi sono molteplici. In primis c’è forte pressione alla ricostituzione delle scorte da parte delle grandi economie emergenti: Cina, India, Brasile.