Meno petrolio ma più metalli: la transizione riapre le miniere
Meno petrolio, più metalli. Riempire le nostre strade di auto elettriche non ci libererà dalla necessità di rifornirci di materie prime. Al contrario. Per produrre milioni di batterie – e più in generale per realizzare le mille rivoluzioni verdi e digitali annunciate nel mondo – avremo bisogno di una lunga lista di “ingredienti”: non solo litio e cobalto, ma anche enormi quantità di nickel, rame, alluminio, terre rare.
La corsa per accaparrarsi le commodity del futuro è cominciata da tempo. E l’Europa – partita in forte ritardo rispetto alla Cina – ora è decisa a fare di tutto per c
olmare le distanze. Anche aprire nuove miniere sul proprio territorio.
La commissione Ue presieduta da Ursula von der Leyen, insediatasi a dicembre 2019, ha segnato un cambio di passo. Da un lato gli obiettivi di decarbonizzazione sono diventati più ambiziosi, spingendo ad estendere l’ostracismo per i combustibili fossili persino al gas, fino a ieri esaltato come un prezioso (per quanto temporaneo) complemento delle rinnovabili. Dall’altro c’è stata una presa di coscienza del fatto che una transizione energetica accelerata non può affidarsi soltanto all’economia circolare.
In soldoni, Bruxelles ora non si limita più a sostenere le attività di recupero e riciclo dei materiali, ma si offre di agevolare la ricerca e l’estrazione di risorse anche in suolo europeo. Lo scorso settembre è nata una nuova Alleanza per le materie prime, costituita sul modello di quella per le batterie, che si è già messa al lavoro per sviluppare la produzione di metalli da destinare alle 15 fabbriche di accumulatori che presto apriranno i battenti nella Ue. Qualche miniera è già vicina ad avviare (o riavviare) le estrazioni, nella Penisola iberica, in Scandinavia e nell’Europa dell’Est. Altre potrebbero presto aggiungersi alla lista, allettate anche dalla ripresa dei prezzi dei metalli dopo lo shock da pandemia. Il rame – indispensabile per rafforzare le reti elettriche e usato in grandi quantità nei circuiti delle auto “ricaricabili” – si è spinto ai massimi da otto anni, sopra 8mila dollari per tonnellata al London Metal Exchange, e stanno tornando a brillare anche i metalli “da batterie”, come il cobalto, in rialzo di oltre il 10% da inizio anno su indiscrezioni di un accumulo di scorte strategiche in Cina.
Le istituzioni europee sono impegnate a promuovere standard di sicurezza e di sostenibilità sempre più elevati anche nel settore minerario. Ma non ci sono forti preclusioni nemmeno alla perforazione dei fondali sottomarini, attività che solleva forte preoccupazione tra gli ambientalisti. L’Unione europea ha già finanziato studi su nuove tecniche di estrazione subacquea, ma nel Vecchio continente ad avventurarsi per prima in questa direzione sarà quasi certamente la Norvegia, che non fa parte della Ue.
Oslo ha iniziato tre anni fa una campagna di esplorazione degli abissi, grazie alla quale ha individuato ricche risorse di rame, zinco e altri metalli, compreso il litio, di cui l’Europa – secondo stime citate da Bruxelles – potrebbe moltiplicare per otto i consumi entro il 2030. Nei giorni scorsi sono partiti gli studi di impatto ambientale e nel 2023, se il Parlamento darà via libera, la Norvegia potrebbe assegnare le prime licenze di estrazione. «Stiamo andando avanti, questa è un’industria con un grande potenziale», ha confermato alla Reuters la ministra dell’Energia Tina Bru.
Il Paese scandinavo viene spesso applaudito come un esempio di virtù in campo ambientale e soprattutto nella mobilità elettrica, in cui vanta primati straordinari: nel 2020 oltre metà delle auto vendute ai norvegesi era dotata di batterie e a dicembre la percentuale si è avvicinata al 70%. Nonostante le credenziali verdi, Oslo ancora oggi rimane uno dei maggiori fornitori europei di idrocarburi (nel caso del gas superato solo dalla Russia): una fonte di ricchezza destinata ad assottigliarsi con la transizione energetica, ma che l’estrazione di metalli potrebbe compensare.
«In quest’industria c’è stato uno spostamento di placche tettoniche – afferma Simon Moores, managing director di Benchmark Mineral Intelligence – Entro il 2029 la domanda di nickel raddoppierà, quella di cobalto triplicherà, quella di grafite in fiocchi e di manganese sarà quadrupla, mentre quella di litio crescerà di sei volte».
Le stime degli analisti ovviamente non sono univoche. Ma per i metalli destinati ad applicazioni “green” tutte convergono su previsioni di forte crescita dei consumi, a ritmi addirittura esponenziali se terremo fede agli obiettivi di lotta al cambiamento climatico. L’Europa si è resa conto di non aver più tempo da perdere.
La Norvegia campione di mobilità elettrica pronta a perforare i fondali marini alla ricerca di rame e litio