Centrodestra unito solo contro il ter
Per Salvini e Meloni le urne unica soluzione Fi e centristi tifano Draghi
La richiesta è sempre la stessa: tornare a votare il prima possibile. Matteo Salvini l’ha ribadito anche ieri, confidando che il Capo dello Stato «senta che cosa pensa il Paese e quindi piuttosto che i pastrocchi o i ricatti tra Conte, Renzi e Di Maio restituisca la parola agli italiani». Né più né meno di quello che va dicendo quotidianamente Giorgia Meloni che anzi si spinge ancora più in là escludendo anticipatamente qualunque sostegno a esecutivi che abbiano una maggioranza diversa dal centrodestra. Quindi pollice verso anche a un eventuale Governo istituzionale, di salute pubblica o «dei migliori» come ha rilanciato anche in questi giorni Silvio Berlusconi. Eppure tanto la presidente di Fdi che il leader del Carroccio sono più che consapevoli che lo scioglimento delle Camere è ipotesi sulla carta percorribile ma nella sostanza impraticabile nonostante proseguano i tentativi di dar vita a un «controgruppo» di responsabili a destra per mettere in difficoltà la maggioranza. Forse ha ragione il forzista Osvaldo Napoli quando osserva che «chiunque rifiuti la prospettiva di un Governo di alto profilo o dei migliori» sotto sotto «lavora per un Conte ter». Sarebbe del resto questa - la permanenza dell’avvocato a Palazzo Chigi - l’unica soluzione che metterebbe al riparo il centrodestra da probabili divisioni. Se Conte infatti dovesse uscire di scena, la coalizione non parlerebbe più con una sola voce come è avvenuto in occasione delle consultazioni al Quirinale della scorsa settimana. I tre senatori totiani di Cambiamo e i tre dell’Udc hanno già detto apertamente che non si tirerebbero indietro rispetto all’apertura di «una fase nuova». Ma l’attenzione sarebbe concentrata soprattutto su Berlusconi e i suoi 52 senatori e 91 deputati. L’ex premier ha già offerto la disponibilità degli azzurri a un eventuale Governo dei migliori, che vedrebbe Mario Draghi a Palazzo Chigi o alla guida del ministero dell’Economia.
Una prospettiva che lascia indifferente Meloni, la quale anche ieri è tornata a invocare le urne quale «via più responsabile» e «più vicina di quanto si voglia dire» tant’è - ha sottolineato con riferimento al colloquio di venerdì con il Capo dello Stato - che questa ipotesi «non è stata esclusa» da Mattarella. Parole che paradossalmente aiutano ad allontanare e non certo ad avvicinare l’obiettivo del voto anticipato, dal momento che il timore della fine della legislatura potrebbe spingere quanti (dentro Italia viva ma anche nel centrodestra) ritengono le urne il male peggiore. Più complessa la posizione di Salvini. Se Conte non dovesse farcela, il segretario del Carroccio si ritroverebbe stretto tra due fuochi: la concorrenza di Meloni, che in un anno gli ha soffiato il 10% degli elettori e lo ha superato nell’indice di gradimento a livello nazionale, e il pressing interno, dell’ala nordista di Giorgetti e Zaia che farebbe fatica a dire «no» a Draghi e alla possibilità di indirizzare le scelte sul Recovery. Ecco perché alla fine, almeno sul fronte della gestione dei rapporti interni, per il centrodestra il terzo mandato a Giuseppe Conte alla fine si rivelerebbe il male minore.