Nel 2020 Pil Italia giù dell’ 8,8%, + 2,3% il dato acquisito sul 2021
Nel quarto trimestre nuova caduta congiunturale del 2%. Mef: dato migliore delle attese grazie alle misure di aiuto all’economia. L’Eurozona ferma al - 6,8% annuo (- 6,4% l’Ue)
L’Italia, il primo paese occidentale colpito dalla pandemia Covid- 19, ha chiuso il 2020 con una caduta del prodotto interno lordo del 8,8% (- 8,9% nella media dei dati trimestrali corretti per i giorni lavorativi). Una perdita di reddito nazionale senza precedenti nella storia recente che poteva essere ancor peggiore se non ci fosse stata la sostanziale tenuta dell’industria e della manifattura. Nell’ultimo trimestre il calo del Pil è stato del 2% su basi congiunturali, una variazione migliore delle attese ma che ha determinato un ampliamento del calo tendenziale da - 5,1% del trimestre precedente a - 6,6%. Istat nella stima preliminare diffusa ieri collega la nuova contrazione dell’economia, dopo il rimbalzo estivo del 16%, alle nuove misure di contenimento dell’emergenza sanitaria decise dal governo e al netto peggioramento della congiuntura dei servizi. La diminuzione del valore aggiunto si è registrata in tutti i settori produttivi, mentre sul lato della domanda i contributi negativi sono arrivati sia dalla componente nazionale sia dalla componente estera netta. Ma i dettagli li conosceremo solo i primi di marzo.
La chiusura di un anno in cui sono andati perduti 444mila posti di lavoro, lascia ora in eredità un Pil acquisito in crescita del 2,3%, mentre le stime indicano un possibile recupero nel 2021 tra il 3,5% ( Bankitalia) e il 4% ( Istat). Ma si tratta di proiezioni che, come è stato ripetuto fino alla noia nei lunghi mesi della crisi, vanno prese con le pinze: Eurostat ha per ora deciso di non aggiornare i modelli di destagionalizzazione e le incognite in campo sono ancora troppo numerose, a partire dai tempi che richiederà la campagna vaccinale appena lanciata per raggiungere l’obiettivo della cosiddetta “immunità di gregge”.
In una nota informale il ministero dell’Economia ha registrato i dati Istat per quelli che sono: « Si tratta di una caduta senza precedenti ma inferiore a quanto pronosticato dalla maggior parte dei previsori e, invece, molto vicina alla previsione del Governo, pari a - 9% » . A contenere i danni sono stati i « poderosi interventi di politica economica messi in campo » e le chiusure selettive per la seconda ondata dei contagi « che si sono rivelate assai efficaci » . Al Mef si guarda ora con ottimismo ai mesi a venire: le indagini presso le imprese - si fa notare - segnalano anche a gennaio un andamento positivo della produzione e delle aspettative nel manifatturiero, nelle costruzioni e in alcuni comparti dei servizi. E si sottolinea come l’economia italiana abbia retto relativamente bene nei confronti europei. Pur tenendo conto del peso che ha il turismo, nell’anno meglio di noi ha fatto solo la Germania (- 5,0%), la Francia è più o meno in linea con un - 8,3% mentre Spagna e Uk hanno segnato una caduta a doppia cifra (- 11% e oltre il - 10%, rispettivamente, secondo le stime di consenso).
Che cosa c’è da aspettarsi ora?
Gli analisti della congiuntura concordano sul fatto che la ripresa non arriverà subito: « dopo un primo trimestre ancora in stagnazione prevediamo che l’attività economica potrà gradualmente riprendere slancio a partire dai mesi primaverili » dice Stefania Tomasini, di Prometeia. Tutto dipende dall’evoluzione della crisi saninaria anche se, come sottolinea Fedele De Novellis di Ref. « i dati sulla parte finale dell’anno mostrano una relativa capacità di convivere con l’epidemia provando almeno a limitare i danni » .
Secondo le previsioni della Bce l’Eurozona ( che nel suo insieme è arretrata del 6,8%, contro il - 6,4% dell’Ue, come comunicato ieri da Eurostat) non tornerà ai livelli precrisi prima della fine del 2022. Conteranno tanti fattori, a partire dall’attuazione dei programmi Next Generation Eu.
Mentre per l’Italia, come ricorda Sergio De Nardis, della Luiss, « sull’intensità della ripresa inciderà la normalizzazione della propensione al risparmio delle famiglie, forzosamente impennatasi con l’epidemia » . I previsori sono prudenti sul punto, scontando un ritorno lento e incompleto ai livelli pre- crisi. « Dato, però, l’incremento involontario dello stock di ricchezza investita in impieghi a bassissimo rendimento - spiega l’economista - la normalizzazione potrebbe avvenire in tempi anche più rapidi di quelli attualmente attesi con positivi effetti sul Pil » .
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