Schiapparelli, l’antenato dei boom di Borsa
Il caso di psicosi collettiva in Borsa che negli anni ' 90 fece volare il titolo a Milano
Più di vent’anni fa, era l’inizio del 1998, in Piazza Affari il titolo Schiapparelli era stato protagonista di un inspiegabile boom. O meglio di un exploit spiegabile solo con il passaparola di informazioni errate che non trovava appiglio nella realtà della società. Si era diffusa voce che Schiapparelli producesse la somatostatina, uno degli ingredienti base della miracolosa “cura Di Bella” contro il cancro. E le quotazioni del titolo si erano altrettanto miracolosamente moltiplicate per otto nel giro di meno di due mesi, spinte dagli acquisti di tanti piccoli investitori. Peccato che Schiapparelli non producesse farmaci, bensì cosmetici ( e pure in perdita), mentre la somatostatina era prodotta dalla controllante Alfa Wassermann e la cura Di Bella non si è mai provato che funzionasse.
La Consob non aveva potuto far altro che far comunicare alla società che i rialzi del titolo erano ingiustificati. Ma questo non era bastato a frenare gli entusiasmi, tant’è che Schiapparelli, con qualche correzione, aveva terminato comunque l’anno con una rivalutazione a tre cifre, salvo finire l’anno successivo nell’elenco delle pecore nere, tra i peggiori titoli di Piazza Affari.
Se allora fosse stato possibile identificare un abuso, si sarebbe trattato di “manipolazione informativa”, ma la suggestione collettiva non è un reato. Oggi il caso Gamestop rivelerebbe piuttosto un problema di “manipolazione operativa”, se si scoprisse una regia occulta finalizzata a alterare artificialmente il prezzo delle azioni o di altri asset finanziari a scopo di profitto. Ma oggi come allora non ci sono strumenti per impedire agli investitori - piccoli o grandi che siano - di comprare, anche se sulla base di considerazioni sbagliate ( come nel caso Schiapparelli) o sulla scorta di puri presupposti ideologici ( bastonare la speculazione ribassista, come nel caso Gamestop).
Nel fenomeno emerso in questi giorni la massa di piccoli risparmiatori, che coalizzandosi riesce a muovere miliardi, in realtà sta giocando d’azzardo. Può vincere, costringendo gli hedge fund- ribassisti estremi a ricoprirsi, riacquistando magari i titoli inflazionati all’inverosimile proprio dall’esercito dei piccoli che li ha costretti alla resa. O può perdere, in un gigantesco schema Ponzi dove l’ultimo arrivato - prima dell’inevitabile crollo - resta col cerino in mano, non necessariamente per pochi spiccioli visto che la media delle singole puntate per le piattaforme Usa interessate è dell’ordine di 20mila dollari.
Chi specula al ribasso lo fa a suo rischio e pericolo. Come ricorda Attilio Ventura, che ha vissuto la Borsa da agente di cambio e ne è divenuto poi anche presidente, il grande ribassista Aldo Ravelli amava ripetere che se investi cento su un titolo al massimo perdi cento, ma se vendi allo scoperto puoi perdere tutto quello che hai. Ed è proprio per questo che le speculazioni al ribasso devono essere fondate su basi solide e se lo sono non devono essere necessariamente demonizzate perchè aiutano a riequilibrare i prezzi. Però negli Usa gli scoperti arrivano a percentuali impensabili in Europa, dove le regole a riguardo sono più stringenti, ed è per questo che un altro veterano, come l’ex presidente di Borsa Ettore Fumagalli, parla di storture della finanza che possono essere corrette.
Però, il punto è un altro. Se dilagasse la moda di prendere posizione in massa su determinati asset a prescindere da qualsiasi logica fondamentale, il rischio sarebbe quello di minare alla radice la fiducia nella Borsa, tra le cui funzioni essenziali c’è di consentire la corretta formazione dei prezzi.
Un fenomeno da non sottovalutare, secondo l’ad di Borsa italiana Raffaele Jerusalmi, secondo il quale la combinazione di nuove tecnologie e social network potrebbe produrre effetti destinati a durare. Rivoluzionando un mondo che stenta a inquadrare le nuove dinamiche di quello che una volta veniva definito il “parco buoi” e che al momento non ha armi per contenerne gli eccessi.
’ 98
L’ANNO DEL CASO
Nel 1998 Schiappareli terminò l’anno con una rivalutazione a tre cifre, salvo finire l’anno successivo nell’elenco dei peggiori titoli di Piazza Affari