L’Irpef castiga i redditi medi: aliquote marginali fino al 61%
Audizione Upb sulla riforma: fondi « insufficienti » per ripensare l’imposta
I problemi dell’Irpef sono tanti, al contrario dei fondi in bilancio per finanziarne la riforma. Il ripensamento dell’imposta è cruciale anche per togliere i freni al lavoro e all’accumulazione di capitale: ma per ora può contare su meno di 3 miliardi all’anno dal 2022, « insufficienti a finanziare gli obiettivi ufficiali » .
Nelle 82 pagine del ricco dossier presentato ieri dal presidente dell’Upb Giuseppe Pisauro alle commissioni Finanze di Camera e Senato, nell’indagine conoscitiva sulla riforma fiscale, i termini della questione emergono chiari. Una delle tante porte d’ingresso nel labirinto dei vizi dell’Irpef è rappresentato dalla progressività, deformata dalla miriade di interventi che hanno snaturato la curva. Il rapporto fra le cinque aliquote legali e l’infinità delle marginali effettive prodotte dall’intreccio di imposta e sconti è caotico. E soprattutto distorsivo.
Per i lavoratori dipendenti, per esempio, fra i 28mila e i 35mila euro di reddito l’aliquota marginale effettiva, cioè la quota richiesta dal fisco per ogni euro di guadagno in più, è già al 45%, e si impenna fino al 61% fra i 35mila e i 40mila euro, per poi scendere poco sopra il 40%. Una piramide del genere, costruita soprattutto dal bonus da 80- 100 euro, disincentiva la ricerca ( e la dichiarazione) di redditi ulteriori. Proprio nelle fasce più popolate dai dipendenti stabili.
E dal momento che i redditi ulteriori provengono tipicamente da affitti o premi di produttività, l’esosità dell’Irpef alimenta la pressione per i regimi sostitutivi. Che finiscono per costruire un’altra stortura.
La cedolare secca sugli affitti per l’Upb « ha avuto effetti ampiamente regressivi » , ed essendo rimasta sotto le attese nell’emersione del nero costa 2,5 miliardi all’anno. Che per oltre il 50% vengono scontati ai contribuenti nel decile di reddito più alto. Regressivo è anche l’ampio ventaglio degli sconti che animano un terzo vizio capitale del fisco sui redditi, le tax expenditures. Tolti i bonus Irpef e gli sconti per tipologia di lavoro e carichi famigliari, restano 15 miliardi di detrazioni all’anno: che per il 58% finanziano gli incentivi alle ristrutturazioni edilizie, ovviamente più sfruttati da chi ha più capacità di spesa.
La strada verso un’Irpef più equa e favorevole alla crescita è insomma lunga e cara. Ma per imboccarla possono aiutare interventi parziali.
Lo ha spiegato sempre ieri alle due commissioni il professor Maurizio Leo, già membro della commissione di esperti del Cndcec presieduta da
Carlo Cottarelli, suggerendo di partire dall’addio all’aliquota del 38%, estendendo il 27% fino a 55mila euro con un taglio alle tax expenditures per raccogliere risorse e semplificare il sistema. In un’ottica più strutturale, per Leo occorre costruire una curva unica per dipendenti e pensionati, avvicinando il reddito degli autonomi al sistema analitico utilizzato per quello d’impresa. Un percorso di unificazione dovrebbe riguardare i redditi finanziari, mentre quelli da locazione andrebbero tassati per cassa. Un restyling profondo dovrebbe riguardare anche accertamento, riscossione e giustizia tributaria: e il tutto, per fare ordine, andrebbe concentrato in un codice tributario unico in tre libri.