Mercato del lavoro congelato Troppe risorse improduttive
Ha fatto notizia il costo sin qui sostenuto per i “navigator” che avrebbero dovuto dare nuova linfa ed energia ai servizi per il lavoro e aiutare, supportandola, la ricollocazione produttiva di oltre 1,3 milioni di percettori de reddito di cittadinanza.
Il costo tra formazione e stipendi di questi quasi 3mila laureati ha superato i 180 milioni di euro. Il risultato, tuttavia, è sotto gli occhi di tutti ed è stato deludente: è stato ricollocato solo il 25% degli aventi diritto ma circa la metà, ed è questo il dato ancor più preoccupante, si è ritrovato di nuovo disoccupato dopo nemmeno un anno.
Se la bassa percentuale è stata determinata anche dalla mancanza di un sistema centralizzato per l’incontro tra domanda e offerta, da banche dati regionali non sempre esistenti e non dialoganti fra loro, dall’assenza di strumenti di incentivo o penalizzazione per il rifiuto, è anche vero che il fallimento di questa esperienza è stato determinato da un mercato del lavoro totalmente stagnante, tanto che l’ 85% delle nuove assunzioni sono state invariabilmente a tempo determinato.
Tuttavia, la liberalizzazione del contrattoatempo contrattoatempodeterminato, determinato, iniziata nel 2014 dal decreto Poletti e proseguitaconil guitaconilJobsactdel2015, Jobsact del 2015, avevaprodotto tangibili risultati. Risultati cancellati dal decreto Dignità del 2018 che ha introdotto causali obbligatorie dopo 12 mesi che ne hanno di fatto paralizzato l’utilizzo successivo, pur mantenendo la teorica possibilità di proroga o rinnovo fino a un massimo di 36 mesi, ormai del tutto impercorribile. Il saldoadicembre2020èdi444mila saldoadicembre2020èdi444milapoposti di lavoro in meno tra autonomi e subordinati ( dati Istat del 1° febbraio), nonostante il blocco dei licenziamenti e la Cig Covid estesa a tutti i settori. Il saldo negativo, tuttavia, lo si deve in larga parte ai 393mila contratti a tempo determinato non rinnovati.
Ora, di fronte a una crisi generalizzata che ha assunto connotati globali e prolungati, riconoscere che sia venuto il momento di fare un passo indietro e ripensare gli strumenti normativi a disposizione delle aziende e del mercato sembrerebbecosa sembrerebbecosabuonaegiusta. buonaegiusta. Purtroppo, nulla nulladiquantoerogatodurandiquantoerogato durante la pandemia è servito a un investimento sul futuro professionale od occupazionale dei lavoratori coinvolti.
Aver bloccato per oltre 12 mesi il mercato del lavoro, inteso come flussi in entrata ma inevitabilmente anche in uscita dalle aziende, ha generato un periodo di stagnazione professionale. Tutti si aspettano ormai uno tsunami occupazionale quando ( prima o poi) inevitabilmente il divieto di licenziamento verrà meno. Questo effetto “tellurico” è la conseguenza, in parte, di una paralisi narcotizzante.
Nessuno contesta che nell’immediato una misura eccezionale dovesse essere presa. E i primi mesi ( Dl Cura Italia e anche il Dl Rilancio) fino all’estate hanno avuto certamente senso. Ma aver speso oltre 19 miliardi di euro in 10 mesi per circa 7 milioni di beneficiari - dati Inps al 10 gennaio 2021 ( pubblicati il 21) - per la Cig Covid ( che con tutte le sue declinazioni di fatto l’hanno resa un ammortizzatore sociale universale tanto quanto la Naspi) che altro non ha fatto se non congelare lo status quo senza risolvere né accompagnare le aziende e i lavoratori verso una soluzione, non pare essere stata una scelta oculata e orientata allo sviluppo produttivo del Paese, ma neppure alla formazione e alla ricollocazione delle risorse in esubero.
Nello stesso periodo si potevano consentire – se non generalmente, almeno settorialmente - le normali dinamiche occupazionali, mettendo al servizio del mercato del lavoro le stesse energie finanziarie profuse in costi improduttivi. Le persone avrebbero avuto maggiori certezze circa il loro futuro professionale, per quanto negativo, e maggiore assistenza nel riqualificarsi e ricollocarsi. Le aziende avrebbero continuato a mantenersi competitive, a innovare, ad assumere, anziché paralizzarsi, a partire dal non rinnovare i contratti a termine in scadenza, che come si è visto sono stati quelli che più di altri hanno pagato il prezzo della crisi pandemica.
Basta riflettere sui numeri: la manovra sul Recovery Fund prevede al momento “solo” 3 miliardi di euro per i nuovi servizi a supporto dell’incontro tra domanda e offerta sul mercato del lavoro, ovvero solo il 15% di quanto è costata la Cig Covid nel 2020, costo che, perdurante il blocco dei licenziamenti, è destinato a salire ulteriormente. A fine marzo il consuntivo sarà ben oltre i 25 miliardi di euro. Siamo sicuri che sia uno strumento efficiente ed efficace prorogare ulteriormente il blocco dei licenziamenti e finanziare a fondo perduto questo costo improduttivo che non arricchisce nessuno ma che, anzi, depaupera la competitività delle aziende, innalza il debito pubblico, non garantisce alcuna occupazione, tantomeno una disoccupazione professionalmente assistita?
Se guardiamo in retrospettiva, sono stati mesi perduti per innovare il mercato del lavoro, per introdurre nuovi strumenti anche di ammortizzazione sociale, purché “produttivi”, non tesi a difendere ciò che non c’è più ma a finanziare un futuro occupazionale e professionale di quasi tre milioni di lavoratori: infatti ai percettori del reddito di cittadinanza devono aggiungersi 1,4 milioni di lavoratori attualmente collocati in Naspi o DisColl.