Non punibile il « silenzio » davanti alla Consob
Il divieto di autoaccusarsi impedisce di infliggere una sanzione aggiuntiva
La Corte di Giustizia europea prosegue nell’allineamento delle regole del processo amministrativo “afflittivo” - cioè con sanzioni particolarmente incisive - alle norme e alle garanzie del procedimento penale, percorso iniziato nel 2014 con la celebre sentenza Grande Stevens versus Italia.
Se sette anni fa a trovare piena espansione davanti alla Corte continentale era stato il principio penalistico del ne bis in idem, nella sentenza C- 481/ 19 ( DB/ Commissione Nazionale per le Società e la Borsa - Consob) pronunciata ieri dalla Grande sezione il riconoscimento tocca l’altro brocardo latino del nemo tenetur se detegere, nessuno può essere costretto ad autoaccusarsi.
A investire i giudici del Lussemburgo era stata due anni fa la Corte Costituzionale - a sua volta innescata dalla Cassazione - a margine di un procedimento in cui Db ( persona fisica, assistito dai legali Renzo Ristuccia, Antonio Saitta e Antonino Castorino di Ristuccia Tufarelli & Partners) era stato condannato da Consob per abuso di informazioni privilegiate ( infrazione risalente al 2009, sanzione di 300mila euro), oltre a 50mila euro per omessa collaborazione. L’incolpato infatti, dopo aver chiesto a più riprese il rinvio della data dell’audizione in qualità di « persona informata dei fatti » , aveva infine rifiutato di rispondere alle domande una volta presentatosi in aula.
Nel ri nvio pregiudiziale l a Consulta sottolineava che l e sanzioni erano state adottate i n esecuzione del l ’ obbli go i mpos t o d a l l a d i r e t t i v a 2003/ 6 e attuazione di una disposizione del regolamento 596/ 2014, chiedendo però se tali precetti siano ancora conf ormi al « diritto al si l enzio » tutelato nella Carta dei diritti f ondamentali dell’Ue.
La Corte, riunita in Grande Sezione, non solo ha dato risposta negativa al quesito - riconoscendo l’esistenza a favore di una persona fisica del diritto al silenzio, violato nella fattispecie - ma ha anche sottolineato che la direttiva 2003/ 6 e il regolamento 596/ 2014 già permettono agli Stati membri di rispettare tale diritto nell’ambito di un’indagine condotta nei confronti di una persona fisica e suscettibile di portare all’accertamento della sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale ovvero della sua responsabilità penale.
La Corte ha precisato che la giurisprudenza sull’obbligo di fornire informazioni che potrebbero essere utilizzate dimostrare la loro responsabilità, se vale per le imprese ( e ciò non è in discussione) non può trovare applicazione in via analogica per negare il diritto al silenzio di una persona fisica accusata di abuso di informazioni privilegiate.
La Corte chiosa però che i l diritto al sil si l enzio dell’incolpato non può i n ogni c aso giustificare qualsiasi omessa collaborazione della persona i nteressata c on l e autorità competenti, come i n caso di r i f i u t o d i p r e s e n t a r s i a d un ʼ audizione prevista da queste ultime o di manovre dilatorie i ntese a rinviare l o svolgimento dell’audizione.
Spetta comunque agli Stati membri di garantire all’interno delle proprie l egislazioni nazionali che una persona fisica non possa essere sanzionata per il suo semplice rifiuto di fornire risposte all’autori t à competente.