Il Sole 24 Ore

Non punibile il « silenzio » davanti alla Consob

Il divieto di autoaccusa­rsi impedisce di infliggere una sanzione aggiuntiva

- Alessandro Galimberti

La Corte di Giustizia europea prosegue nell’allineamen­to delle regole del processo amministra­tivo “afflittivo” - cioè con sanzioni particolar­mente incisive - alle norme e alle garanzie del procedimen­to penale, percorso iniziato nel 2014 con la celebre sentenza Grande Stevens versus Italia.

Se sette anni fa a trovare piena espansione davanti alla Corte continenta­le era stato il principio penalistic­o del ne bis in idem, nella sentenza C- 481/ 19 ( DB/ Commission­e Nazionale per le Società e la Borsa - Consob) pronunciat­a ieri dalla Grande sezione il riconoscim­ento tocca l’altro brocardo latino del nemo tenetur se detegere, nessuno può essere costretto ad autoaccusa­rsi.

A investire i giudici del Lussemburg­o era stata due anni fa la Corte Costituzio­nale - a sua volta innescata dalla Cassazione - a margine di un procedimen­to in cui Db ( persona fisica, assistito dai legali Renzo Ristuccia, Antonio Saitta e Antonino Castorino di Ristuccia Tufarelli & Partners) era stato condannato da Consob per abuso di informazio­ni privilegia­te ( infrazione risalente al 2009, sanzione di 300mila euro), oltre a 50mila euro per omessa collaboraz­ione. L’incolpato infatti, dopo aver chiesto a più riprese il rinvio della data dell’audizione in qualità di « persona informata dei fatti » , aveva infine rifiutato di rispondere alle domande una volta presentato­si in aula.

Nel ri nvio pregiudizi­ale l a Consulta sottolinea­va che l e sanzioni erano state adottate i n esecuzione del l ’ obbli go i mpos t o d a l l a d i r e t t i v a 2003/ 6 e attuazione di una disposizio­ne del regolament­o 596/ 2014, chiedendo però se tali precetti siano ancora conf ormi al « diritto al si l enzio » tutelato nella Carta dei diritti f ondamental­i dell’Ue.

La Corte, riunita in Grande Sezione, non solo ha dato risposta negativa al quesito - riconoscen­do l’esistenza a favore di una persona fisica del diritto al silenzio, violato nella fattispeci­e - ma ha anche sottolinea­to che la direttiva 2003/ 6 e il regolament­o 596/ 2014 già permettono agli Stati membri di rispettare tale diritto nell’ambito di un’indagine condotta nei confronti di una persona fisica e suscettibi­le di portare all’accertamen­to della sua responsabi­lità per un illecito passibile di sanzioni amministra­tive aventi carattere penale ovvero della sua responsabi­lità penale.

La Corte ha precisato che la giurisprud­enza sull’obbligo di fornire informazio­ni che potrebbero essere utilizzate dimostrare la loro responsabi­lità, se vale per le imprese ( e ciò non è in discussion­e) non può trovare applicazio­ne in via analogica per negare il diritto al silenzio di una persona fisica accusata di abuso di informazio­ni privilegia­te.

La Corte chiosa però che i l diritto al sil si l enzio dell’incolpato non può i n ogni c aso giustifica­re qualsiasi omessa collaboraz­ione della persona i nteressata c on l e autorità competenti, come i n caso di r i f i u t o d i p r e s e n t a r s i a d un ʼ audizione prevista da queste ultime o di manovre dilatorie i ntese a rinviare l o svolgiment­o dell’audizione.

Spetta comunque agli Stati membri di garantire all’interno delle proprie l egislazion­i nazionali che una persona fisica non possa essere sanzionata per il suo semplice rifiuto di fornire risposte all’autori t à competente.

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