Il regolamento condominiale non è fonte normativa
Per una sua violazione non ci si può rivolgere alla Suprema Corte
Il regolamento di condominio non ha natura di atto normativo generale e astratto, ed è perciò inammissibile il motivo del ricorso per Cassazione col quale si lamenti la violazione o falsa applicazione delle norme di tale regolamento secondo l’articolo 360, comma 1, n. umero 3, del Codice procedura civile. L’assunto è stato ribadito dalla Cassazione con la sentenza 2127 del 29 gennaio 2021 ( precedenti conformi, Cassazione 12291/ 2011; 20567/ 2018).
Il regolamento di condominio che abbia origine contrattuale ( o esterna) è un atto di produzione essenzialmente privata anche nei suoi effetti tipicamente regolamentari, relativi, cioè, alle sole modalità di godimento delle parti comuni dell’edificio. A conferma di ciò può osservarsi che il giudice può approvare il regolamento formato su iniziativa di un condominio, in base all’articolo 1138 del Codice civile, comma 2, ma non predisporlo a propria cura ( Cassazione sentenza 1218/ 93).
Inoltre, nel caso di sua adozione giudiziale l’efficacia cogente del regolamento nei confronti dei condòmini dissenzienti è sempre mediata dall’articolo 2909 del Codice civile, per il quale: « l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa » . Pertanto, le norme del regolamento condominiale contrattuale non sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità e l’unico criterio astrattamente coordinabile con il senso della critica è costituito dall’articolo 1362 Codice civile dal principio dell’interpretazione letterale come tecnica di verifica della volontà delle parti. In effetti, è compito del giudice di merito valutare se una data espressione sia stata adoperata dalle parti secondo l’una o l’altra accezione possibile. Quindi, dal punto di vista processuale, un eventuale vizio potrebbe essere configurato sotto l’articolo 360 del Codice procedura civile, comma 1, numero 5.