Eni accelera la transizione verde. Il Covid pesa su conti
L’anno chiude a - 8,5 miliardi Nuova linea sui dividendi e dismissioni per 2 miliardi Descalzi: « Il 2021 non sarà semplicissimo ma abbiamo anticorpi per reagire »
Archiviato « l’anno più difficile della storia dell’industria energetica » ( copyright di Claudio Descalzi) che si è fatto sentire sui conti 2020, chiusi con una perdita di 8,56 miliardi - più bassa dei competitor - ma in ripresa nell’ultimo trimestre ( tornato in utile per 66 milioni), Eni ingrana la marcia della trasformazione “verde” per raggiungere il traguardo della completa decarbonizzazione di prodotti e processi entro il 2050 ( da ricordare che il processo è stato avviato nel 2014) . Il tutto spingendo sull’acceleratore delle tecnologie già esistenti e con la fusione dei business retail e rinnovabili.
Archiviato « l’anno più difficile della storia dell’industria energetica » ( copyright di Claudio Descalzi), che si è fatto sentire sui conti 2020, Eni ingrana la marcia della trasformazione “verde” con il piano 2021- 2024 svelato ieri per centrare la completa decarbonizzazione di prodotti e processi entro il 2050. Obiettivo ambizioso, certo, ma il gruppo vuole raggiungere per allora lo “zero netto” sia per le emissioni che per l’intensità carbonica. Il tutto spingendo sull’acceleratore delle tecnologie già esistenti ( dal raddoppio della capacità produttiva delle bioraffinerie, a 2 milioni di tonnellate entro il 2024, allo sprint sulle energie verdi, fino ai progetti di cattura e stoccaggio di carbonio, anche per decarbonizzare i propri business, upstream in testa) e mettendo in pista la fusione di retail e rinnovabili ( con l’ebidta raddoppiato a quasi 1 miliardo nel 2024). Senza dimenticare gli azionisti, con una cedola che cresce dell’ 8% rispetto alla direzione indicata a luglio.
« Eni ha avviato questa trasformazione a fine 2014 - spiega al Sole 24 Ore il numero uno Descalzi - con un profondo lavoro sulle tecnologie e, tra il 2020 e quest’anno, abbiamo messo a punto un piano di dettaglio, fissando anche degli snodi intermedi per provarne la concretezza e giungere a questo risultato » . Un risultato che è figlio, prosegue il ceo, « della nostra pressione su noi stessi perché pensiamo che le società energetiche avranno un futuro solo se riusciranno a decarbonizzare la base produttiva mantenendo un ritorno sugli investimenti attrattivo che consenta di andare avanti » .
La decarbonizzazione, dunque, è il filo rosso dell’intera strategia, a partire dall’upstream, con il gas che sarà sempre più protagonista, insieme alle rinnovabili, dell’Eni di domani. La produzione crescerà a una media del 4% all’anno nell’arco del piano che destina 4,5 miliardi di euro annui medi agli investimenti nell’upstream con un flusso di cassa sopra i 18 miliardi. Quanto all’esplorazione, la rotta sarà rivolta per il 90% su opportunità near field. Tradotto: le nuove risorse saranno scoperte in prossimità di strutture esistenti per sfruttare le sinergie, accelerare la commercializzazione dei prodotti e abbassare ulteriormente il breakeven con un costo medio di esplorazione sotto i 2 dollari al barile.
La stessa filosofia “green” investirà poi gli altri business. Nel refining & marketing, la crescita ( con l’ebit proforma rettificato più che raddoppiato nell’arco di piano, a 1,4 miliardi) sarà affidata al combinato disposto tra la maggiore capacità di bioraffinazione ( con un apporto crescente da rifiuti e scarti), la graduale ripresa della domanda dopo il Covid e il focus su segmenti a elevato margine nel marketing ( con un occhio all’estero), oltre che l’apporto delle attività lungo l’asse con Adnoc. Ma la verà novita, nella direzione Energy Evolution guidata da Giuseppe Ricci ( l’altra, Natural Resources, vede al timone Alessandro Puliti), è la fusione tra i business delle rinnovabili e il retail del gas & power. « È uno step fondamentale - sottolinea il ceo - perchè dà leva per poter poi anche investire e trovare finanziamenti sulla parte rinnovabili. Da sole, infatti, le energie verdi fanno fatica a trovare un mercato conveniente e i clienti vogliono avere dei prodotti puliti. Così abbiamo messo in pista questa combinazione ed entro giugno avremo la società completamente integrata » .
Insomma, la macchina marcia a pieni giri e potrà contare su un capex medio annuo di 7 miliardi ( il 20% dei quali destinato a progetti green e G& P retail) e su un flusso di cassa operatvo di circa 44 miliardi nel periodo di piano a scenario Eni ( 39 miliardi ipotizzando un prezzo del barile a 50 dollari). E, se il gruppo avrà bisogno di altro fieno, nel piano ci sono anche 2 miliardi di dismissioni in quattro anni. « I target possibili - chiarisce il cfo Francesco Gattei - sono attività non core, asset di logistica e cessione di quote di minoranza collegate al modello di esplorazione duale » . Ma dove? Gli indiziati principali, per cominciare, potrebbero essere Indonesia e Messico.
Più frecce al proprio arco, quindi, e una revisione al rialzo anche della politica dei dividendi che sarà imperniata su un livello minimo di 36 cent per azione con un prezzo del brent di 43 dollari al barile ( due dollari in meno del piano precedente) e una componente variabile crescente tra 30 e 45% del free cash flow incrementale generato da uno scenario compreso tra 43 e 65 dollari. « Abbiamo migliorato la nostra dividend policy - precisa Descalzi - perché siamo riusciti a ridurre la neutralità di cassa sotto i 40 dollari. A questa affiancheremo poi un programma di buyback di 300 milioni l’anno con un prezzo del brent di 56 dollari al barile ( sotto la soglia precedente di attivazione di 61 dollari), che salirà a 400 milioni l’anno a partire da 61 dollari e a 800 milioni dai 66. A luglio decideremo quale sarà il prezzo medio dell’anno » . Su quale sarà, però, alla fine quel livello Descalzi non si sbilancia. Guarda, invece, al prosieguo del 2021. « Sarà un anno ancora non semplicissimo, ma noi abbiamo gli anticorpi, sotto il profilo industriale, per poter lavorare in condizioni di questo tipo e per vivere quest’anno con minori difficoltà del 2020 » .
E il 2020, segnato dalla pandemia e dal forte calo di prezzi e margini delle commodity, è andato in archivio per Eni con una perdita netta di 8,56 miliardi, molto più bassa però dei competitor ( 725 milioni il rosso nell’ultimo trimestre), una perdita netta adjusted, depurata cioè dalle partite straordinarie, di 742 milioni ( a fronte dei + 2,9 miliardi del 2019, nell’ultimo trimestre si torna invece all’utile di 66 milioni, - 88%) e un ebit adjusted di 1,9 miliardi (- 78%, mentre nell’ultimo trimestre è di 488 milioni, in calo del 73%), che sconta però l’effetto commodity (- 6,8 miliardi) e quello del Covid (- 1 miliardo). I ricavi si attestano a 43,9 miliardi (- 37% sull’anno e - 28% nel trimestre con l’asticella a 11,6 miliardi). Il debito, invece, è rimasto stabile, a quota 11,6 miliardi (+ 1% rispetto al dato di fine 2019).