Il Giappone cresce con semiconduttori e domanda cinese
Dopo aver chiuso il 2020 con un deciso rimbalzo, il Giappone registra il risveglio del settore manifatturiero. Con i consumi e i servizi ancora frenati dalle restrizioni anti- Covid, l’economia resta tuttavia fragile ed esposta a ricadute e si aggrappa alla domanda di apparecchiature per la fabbricazione dei chip, in arrivo soprattutto dalla Cina e dagli altri Paesi della regione. Negli ultimi tre mesi del 2020, il Pil del Giappone è cresciuto del 3% rispetto al trimestre precedente. Le esportazioni nette hanno offerto un contributo determinate, aggiungendo oltre un punto percentuale al Pil, in continuità con il trend apparso nel terzo trimestre. Tra gennaio e dicembre ( ma Tokyo adotta un esercizio di bilancio che va da aprile a marzo), l’economia ha fatto quindi meno peggio del previsto: secondo Ing Economic and Financial Analysis, la contrazione si è fermata al 4,9%, rispetto al - 5,4% stimato. Il dato di fine 2020, secondo Robert Carnell di Ing, difficilmente potrà essere replicato nei successivi tre mesi, ma pone le basi per un buon 2021, per il quale il Governo si aspetta una crescita del 4%. Una prima conferma arriva dalla lettura preliminare del Purchasing Managers Index
( Pmi) del settore manifatturiero, che a febbraio è salito sopra quota 50, soglia oltre la quale l’attività è in espansione ( i dati sono di ieri). È la prima volta che succede dall’aprile del 2019. Anche in questo caso è determinante il contributo della domanda estera: gli ordini sono cresciuti al ritmo più veloce dall’inizio del 2018, grazie soprattutto alla Cina, unica grande economia a evitare la recessione nell’anno del Covid e già in accelerazione. Il Made in Japan resta, infatti, in gran parte nella regione. Interrompendo una flessione che durava da 25 mesi, l’export ha recuperato il segno “più” a dicembre ( con un aumento del 2% su base annua), per accelerare con decisione a gennaio (+ 6,4%), trainato dalle vendite in Asia, aumentate del 19,4%, e soprattutto in Cina, primo partner commerciale del Paese. In questo caso il balzo è stato addirittura del 37,5% ( in parte “drogato” dallo spostamento a febbraio delle vacanze per il capodanno cinese e della conseguente chiusura delle fabbriche). La Cina ha più che compensato il calo dell’export verso l’Europa (- 1,6%) e gli Stati Uniti (- 4,8%). Una dimostrazione in più di quanto possa essere complicato per le imprese giapponesi affrancarsi dai legami con la principale economia della regione. Le esportazioni di apparecchiature per fabbricare semiconduttori sono aumentate nel complesso del 50,5%. È un effetto della carenza globale di chip: secondo gli analisti, i settori che ne fanno più uso, a cominciare dall’auto e dalle società di elettronica di consumo, hanno sottovalutato gli effetti dello stop della produzione in Cina e in altri Paesi, per effetto della pandemia, e poi non hanno previsto il rimbalzo della domanda. A questo fattore di natura contingente, se ne sommano altri strutturali: la digitalizzazione dell’economia, le reti 5G e lo scontro tra Stati Uniti e Cina. A dicembre, Washington ha aggiunto alla sua lista nera il maggior produttore cinese di chip, Semiconductor Manufacturing International. Primo beneficiario di questa situazione è stata Taiwan. L’onda lunga arriva però anche sul Giappone, un tempo primo produttore di semiconduttori al mondo e ora grande esportatore delle attrezzature per fabbricarli.