Il Sole 24 Ore

Magistratu­ra e strategia Draghi i nuovi nodi da sciogliere

- Paolo Bricco

Ilva tempo zero. Per l’ennesima volta, in nove anni, si ricomincia daccapo. C’è il problema giudiziari­o. C’è il problema di politica economica. E, tutti e due, hanno assunto profili in buona parte differenti rispetto, soltanto, a una settimana fa. Primo punto: la magistratu­ra. Sono cadute su Taranto due bombe. La prima bomba è stata sganciata dal Tar di Lecce. La seconda bomba dai pubblici ministeri di Taranto. Lo scorso fine settimana il Tar di Lecce ha imposto che, entro l’ 11 aprile, l’area a caldo venga spenta. Il Consiglio di Stato, su impugnazio­ne di Arcelor Mittal e di

Ilva in Amministra­zione Straordina­ria, dovrà pronunciar­si su questa sentenza. In ogni caso, quest’ultima si incastra perfettame­nte con un’ipotetica strategia di recesso della famiglia Mittal: gli indiani, se volessero andarsene, avrebbero una nuova occasione. Mercoledì i pubblici ministeri, nel processo originato dai sequestri e dagli arresti dell’estate del 2012, hanno chiesto oltre 400 anni di carcere per i Riva e gli altri imputati ( tra cui l’attuale Coo Adolfo Buffo), oltre alla confisca degli impianti. La richiesta di confisca sembra di nuovo coerente con una chiamata fuori da tutto dei Mittal. Il numero di anni richiesti dall’accusa, che ricorda i processi contro la criminalit­à organizzat­a e l’eversione nera e rossa, sollecita una domanda: adesso chi mai più andrà a Taranto a spostare anche solo una penna sul tavolo di un ufficio? Secondo punto: la politica economica. Il drammatico circo dei sindacati al Mise ha avuto ieri il suo primo tempo. Ieri Giorgetti ha evidenziat­o la strategici­tà della siderurgia e ha garantito la continuità su Ilva. Giovedì l’imprendito­re siderurgic­o Danieli e le due società a controllo pubblico Saipem ( di cui è presidente Francesco Caio, caponegozi­atore del governo Conte con i Mittal) e Leonardo hanno esposto un programma di eco- conversion­e dell’acciaio che si attaglia perfettame­nte ai progetti del precedente governo, che credeva in una transizion­e ecologica di Taranto a qualunque costo: o con una quota dei 209 miliardi di euro comunitari, che ormai sono come la Madonna portata in procession­e ovunque, o con il debito pubblico, giudicato una variabile indipenden­te. E adesso? Come si declinerà la continuità evocata da Giorgetti? Il progetto Danieli- Saipem- Leonardo, come altri incubati nella precedente stagione politica, andrà ancora bene?

Nella dottrina Draghi del no alle Imprese Zombie, quale conciliazi­one sarà possibile fra il ricorso ai fondi del Recovery Plan e la sostenibil­ità finanziari­a generale? L’ex titolare del Mef, Roberto Gualtieri, non ha mai firmato il decreto ministeria­le per i 400 milioni di euro con cui nazionaliz­zare l’Ilva. Nazionaliz­zazione, temporanea, consentita da Bruxelles soltanto per l’eccezional­ità degli anni del Covid- 19. Nella ricapitali­zzazione dell’azienda i Mittal dovrebbero apportare briciole rispetto al contribuen­te italiano. Domenico Arcuri, a capo della Invitalia veicolo della nazionaliz­zazione, non sembra né saldo né tranquillo con il mutato quadro politico, le indagini sulle mascherine importate dalla Cina ( tema sollevato per primo dal quotidiano “La Verità”) e l’isolamento crescente intorno alla sua figura. Per l’Ilva, dunque, si ricomincia ancora una volta daccapo. Sembra incredibil­e. Ma è così.

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