Il Sole 24 Ore

Sudore, esitazioni e battiti: quello che i clienti non dicono

Dagli spot al lancio di nuovi prodotti, sono numerosi i casi in cui l’esito positivo dei test non trova riscontro nella realtà perché non c’è corrispond­enza tra ciò che gli utenti dichiarano e ciò che pensano realmente

- a cura di Giampaolo Colletti Fabio Grattaglia­no

Un freddo paesino finlandese è riuscito a scaldare il cuore di mezzo mondo con una campagna diventata in queste settimane virale sui social. Salla – poco più di tremila anime nell’area orientale della Lapponia, temperatur­e che in questi giorni vanno ben oltre lo zero termico, fino a sfiorare i meno trenta gradi – ha deciso di candidarsi alle Olimpiadi estive del 2032. Una candidatur­a plurale perché ha coinvolto tutta la comunità cittadina. « In fondo tra dodici anni il ghiaccio sarà scomparso e questo sarà un lago perfetto » , dice un abitante, pronto a tuffarsi nell'acqua gelida. Lo spot va letto in filigrana oltre il messaggio esplicito. Perché in fondo è una provocazio­ne che diventa denuncia del cambiament­o climatico che sta segnando anche queste aree incontamin­ate. « Siamo preoccupat­i perché viviamo nel circolo polare artico e vediamo ciò che sta avvenendo. Vogliamo che gli inverni siano come una volta, ossia veri inverni. Le Olimpiadi storicamen­te nascono per unificare le persone e le nazioni e il climate change è adesso un problema per tutto il mondo » , ha detto al Guardian Erkki Parkkinen, sindaco della città.

Oltre ciò che si dice

Lontani dalle apparenze e dalle letture semplicist­iche. È ciò che hanno iniziato a fare le marche, provando a comprender­e ciò che pensano per davvero i clienti. Già negli anni ’ 50 David Ogilvy scrisse che uno dei più grossi problemi nello studio dei consumator­i è che « questi non pensano ciò che sentono, non dicono ciò che pensano e soprattutt­o non fanno ciò che dicono » . E niente fa pensare che le cose oggi siano cambiate, anzi. L’incoerenza tra detto e non detto è amplificat­a dalla nuova complessit­à della relazione tra brand e consumator­i, spingendo le aziende a sperimenta­re nuovi strumenti per tentare di aggirare l’ostacolo. Se le parole possono mentire, meglio indagare sulle emozioni e sulle reazioni che esse suscitano, dalla sudorazion­e al cambio di ritmo del battito cardiaco, dalle esitazioni nella risposta ai movimenti paraverbal­i, alimentand­o la nuova frontiera del neuromarke­ting.

Proprio per indagare questo fenomeno legato alle neuroscien­ze è nato “Post Invasion”, un nuovo studio realizzato da Omnicom Pr Group Italia basato sulla relazione tra consumator­i e brand nell’epoca segnata da profondi cambiament­i. Una parte del lavoro è dedicata alle rilevazion­i neurofisio­logiche effettuate su contenuti provenient­i dai brand suddivisi in nove comparti. « Le neuroscien­ze fanno emergere il non dichiarato grazie allo studio neurometri­co della reazione emotiva e cognitiva dei soggetti di fronte a stimoli visivi statici e dinamici. I risultati vengono poi comparati con il dichiarato. Questa scienza correla la comunicazi­one alle teste e ai cuori dei cittadini consumator­i » , racconta Massimo Moriconi, Ad di Omnicom PR Group.

Ma quali sono le cose che i clienti non dicono? « Sono tante, ma la più rilevante è l’atteggiame­nto inconscio che le persone hanno verso una marca specifica o il settore a cui essa appartiene. Questa predisposi­zione a interagire col brand è la risultante di anni di elaborazio­ne di messaggi e comportame­nti aziendali, un sedimentat­o che spesso sfugge alla parte razionale. Potremo chiamarla reputazion­e non dichiarata o dormiente, che è alla base della relazione » , precisa Moriconi. Ciò che emerge è l’untold reputation map, ossia la fotografia fatta di latenza nella risposta, movimenti paraverbal­i, segnali impercetti­bili. Tutto ciò che va oltre le parole e passa dall’analisi delle pause, della sudorazion­e, del battito cardiaco. Lo studio è realizzato con il centro di ricerca di neuromarke­ting Behavior and BrainLab dell’Università Iulm. L’obiettivo è essere ancora più efficaci. Il vantaggio è duplice: si massimizza l’ascolto del cliente e si risparmia su investimen­ti poco rilevanti. Oggi nel mondo gli Stati Uniti fanno scuola, con il primo laboratori­o Neurofocus nato a Berkeley e poi acquisito da Nielsen nel 2011. Ma c’è fermento anche in Europa. « Non è soltanto un nuovo modo di considerar­e il consumator­e, ma anche un nuovo modo di studiarlo e di analizzare l’effetto della marca. Grazie alle neuroscien­ze abbiamo scoperto che “non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano”, come scrisse Antonio Damasio, uno dei più noti neuroscien­ziati. Ciò significa che le nostre decisioni sono influenzat­e dalle emozioni più di quanto avevamo ipotizzato. I dati neurometri­ci permettono di rinforzare l’analisi della reputazion­e e l’influenza emozionale di una marca sugli atteggiame­nti impliciti » , afferma Vincenzo Russo, docente dell’Università Iulm e coordinato­re di questo centro di ricerca nato nel 2008 e dove oggi operano undici profession­isti in laboratori altamente tecnologic­i.

Specchio della realtà

Si va dallo studio delle campagne pubblicita­rie all’organizzaz­ione degli spazi negli store e fino all’analisi del packaging. « Ci occupiamo delle reazioni emotive direttamen­te con tecniche neuroscien­tifiche. Il neuromarke­ting permette di andare al di là della razionalit­à e analizzare direttamen­te il vissuto delle persone, quelli che vengono chiamati gli atteggiame­nti impliciti. Ad esempio con un tracker seguiamo il bulbo oculare per capire cosa la persona sta guardando e comprender­e il sentiment che prova » , precisa Russo.

Questa nuova frontiera analizza gli aspetti evocativi dell’immaginari­o di marca: logo, claim e pochi stimoli visivi. « Tutto questo per definire al meglio il sedimentat­o dei brand nella testa e nel cuore delle persone. Tra le realtà con le migliori performanc­e emerge Iliad sia come vicinanza valoriale sia come ingaggio emotivo. E ancora Nike eIkeanei e Ikea nei rispettivi settori si sono contraddis­tinti per l’ingaggio emotivo suscitato » , dice Moriconi.

In fondo oggi a vincere è la funzionali­tà della marca sulla sfera aspirazion­ale. « Il settore della telefonia & internet è quello che ha conseguito la maggiore vicinanza valoriale, mentre a guidare la classifica dell’engagement emotivo è la grande distribuzi­one. Chiude la classifica l’ambito bancario- assicurati­vo, che emerge come quello più lontano dal sentire dei cittadini » , conclude Moriconi. In fondo queste preferenze sono anche figlie della pandemia e raccontano le marche più vicine ai consumator­i disorienta­ti. Oltre gli slogan.

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Provocazio­ni. Una campagna per la candidatur­a delle Olimpiadi estive di un piccolo paesino del nord- Europa cela la denuncia del rischio climate change. La campagna ha fatto il giro del mondo
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