« I brand diventino costruttori di futuro »
« Cambiare è possibile. Lo abbiamo dimostrato nell’emergenza modificando processi consolidati. Senza disporre di libretti di istruzione ci siamo reinventati il modo di lavorare e tutta la filiera del cibo ha mostrato forza e volontà. Lo abbiamo fatto con testa e cuore. E parlo al plurale perché è stato un processo collettivo » . Così Maura Latini, Ad di Coop Italia, tra le insegne leader con un giro d’affari di 13,4 miliardi nella grande distribuzione e di 14,3 miliardi tra retail e diversificazioni. La sfida è decifrare la complessità e guidare il cambiamento. « Non esiste più la marca fine a se stessa perché c’è un’evoluzione nella sensibilità dei consumatori che si aspettano impegno, qualità, coerenza. Bisogna assumersi il rischio di compiere scelte coraggiose. Penso a quando abbiamo deciso di togliere gli antibiotici dalla filiera animale: non è stata un’operazione a costo zero, fino a quando la filiera non ha ritrovato un suo equilibrio. I brand devono diventare costruttori di futuro » , precisa Latini, che oggi guida una rete di oltre 1100 punti vendita e conta 56.500 dipendenti, 6,6 milioni di soci. « Gli utili per noi sono un mezzo per generare azioni positive per le persone e per i territori. Tutto questo significa tenere in equilibrio conti economici, senza trascurare la comunità. Non siamo venditori di merce, ma promotori di uno stile di vita attraverso i prodotti che vendiamo » .
Per anni avete alfabetizzato sul consumo responsabile e ora invitate ciascuno alla responsabilità: cosa è cambiato?
L’urgenza del momento ha aggiunto complessità e ha impresso una maggiore accelerazione nei processi di consapevolezza.
Perché il carrello è centrale per una buona spesa?
Nel carrello c’è una proposta allargata di impegno che coinvolge tutti. Le istituzioni però devono favorire i comportamenti virtuosi degli individui e le scelte prospettiche delle imprese, andando oltre l’aiuto assistenzialista o le tassazioni stileplastile plastic o sugar. Bisogna puntare su dinamiche di premialità.
Come è cambiata la relazione col cliente nel tempo dell’emergenza, ma anche delle scelte multiple e dell’attenzione perduta?
Il cliente ha modificato i comportamenti d’acquisto puntando su attenzione alla sicurezza e qualità del cibo, ma parallelamente ha abbracciato le sfide ambientali. Nonostante le preoccupazioni economiche non sono diminuiti gli acquisti di prodotti biologici.
Del brand activism che ne pensa? Noi siamo nati attivisti. Penso alle cooperative di consumatori di fine Ottocento a Torino. Oggi per noi attivismo significa farsi carico dei problemi della comunità e cercare di risolverli il prima possibile. La sfida è trovare un corretto equilibrio tra prezzo adeguato e prodotti di qualità. Dietro al prezzo giusto ci sono le persone remunerate correttamente.
Mercoledì presenterete la campagna “Close the Gap” sulla parità di genere femminile.
Si tratta di un’agenda di azioni. Le donne, insieme ai giovani, sono state la categoria più penalizzata dalla pandemia. Da noi rappresentano il 70% della forza lavoro e più della metà dei nostri soci: è doveroso attivare una riflessione collettiva.
Lei ha iniziato come commessa. Un po’ come ha fatto Alan Jope, Ceo di Unilever, entrato nel colosso come tirocinante. Come descrive questo suo percorso?
Ho incrociato la visione della cooperazione con la mia visione personale. Ho percorso tutti gli scalini dell’organizzazione, uno dopo l’altro, e ho capito che il nostro valore è nella ricchezza continua delle relazioni. Sono stata fortunata, ma non mi sono mai tirata indietro nell’affrontare le sfide e ho scommesso sempre sul gioco di squadra.