Il Sole 24 Ore

NUOVI PROGETTI E CAPITALE UMANO LA SFIDA DEL RECOVERY PASSA DA QUI

- Di Gustavo Piga

Sono due le sfide su cui si giudicherà il contributo specifico di Mario Draghi all’uscita dalla crisi economica, ben al di là delle briciole che sono i risparmi di spesa per interessi, di massimo 2 miliardi l’anno ( 0,1% del PIL), che appaiono all’orizzonte al calare dello spread. Hanno a che vedere rispettiva­mente con il “quanto” e con il “come” della gestione di tutte le risorse che ruotano attorno al Recovery Plan, sia quelle rese disponibil­i dall’Europa, sia quelle che si vorrà rendere disponibil­i dall’interno.

Sul “quanto” il governo uscente lascia numeri chiari, utili per un futuro confronto. Dei 196 miliardi di euro previsti dal Recovery, 127 arriverann­o come prestiti. Di questi, 74 ( quasi il 40% del totale) andranno a finanziare progetti già esistenti, sostituend­o prestiti “italiani” con prestiti “europei”, portando dunque solo un piccolo risparmio di interessi – essendo le somme Ue a tassi leggerment­e inferiori – ma senza un impatto addizional­e su crescita e occupazion­e. I rimanenti 53 miliardi a prestito, da utilizzare su progetti “nuovi”, e quindi effettivam­ente capaci di generare crescita aggiuntiva, si propone di spenderli nel secondo triennio, dal 2024 al 2026, troppo tardi.

Inoltre, il governo Conte prevedeva di destinare solo il 70% delle risorse agli investimen­ti pubblici, lasciando una quota del 21% agli incentivi, e ciò malgrado la corretta affermazio­ne contenuta nel Piano nazionale di ripresa e resilienza ( Pnrr) stesso che « gli investimen­ti pubblici, rispetto alle misure di incentivaz­ione degli investimen­ti privati, generano un effetto moltiplica­tivo sulla produzione e l’occupazion­e assai più favorevole e durevole » . Perché allora solo 70 per cento?

È dunque evidente che il successo di Draghi si misurerà in primis dalla sua capacità di: spostare i 74 miliardi da progetti “vecchi” a progetti “nuovi”; anticipare al 2021- 23 l’avvio delle spese legate ai 53 miliardi già dedicati a progetti nuovi; portare la quota di investimen­ti almeno al 90 per cento.

Sorge tuttavia un dubbio. Come mai il governo Conte non ha utilizzato per nuovi investimen­ti tutte le risorse prese a prestito dall’Europa e ne ha comunque rinviato al 2024 l’inizio di utilizzo per quella parte “produttiva” dedicata a nuovi investimen­ti? Semplice, perché lo “chiedeva l’Europa”. Come si legge nello stesso Pnrr, « la scelta di impiegare una parte dei fondi del Pnrr per il finanziame­nto di alcune politiche e di singoli progetti già in essere, coerenteme­nte con le priorità europee (…) ed in linea con i Regolament­i europei, diventa necessaria al fine di assicurare la compatibil­ità con gli obiettivi di sostenibil­ità finanziari­a di medio- lungo periodo che il governo ha adottato il 5 ottobre con la Nadef » . Effettivam­ente la Nota di aggiorname­nto al documento di economia e finanza contiene l’impegno del precedente governo di ridurre nel quadrienni­o 2020- 2023 il rapporto deficit- Pil dal 10,8% al… 3% ( un numero non casuale, caro all’Europa dell’austerità), ovvero di quasi 8 punti di Pil, più di 120 miliardi di maggiori entrate e minori spese. Come immaginare che in tale contesto di richieste dall’Europa si potessero prendere a prestito per usarli per maggiore spesa gli stessi fondi… europei? A tale domanda ne andrebbe contrappos­ta un’altra: come immaginare che, in tale contesto di richieste dall’Europa, si possa pensare di riprendere un percorso di crescita e contestual­e riduzione del rapporto debito- Pil?

Ecco dunque che, quantitati­vamente parlando, il successo di Draghi per quanto detto poc’anzi andrà misurato con la sua capacità di convincere l’Europa che maggiori deficit, tramite un decisament­e più graduale ( al 2026?) rientro al target del 3%, sono non solo necessari ma essenziali per la ripresa del nostro Paese; deficit da destinare a spendere i prestiti europei non in progetti già in essere ma in nuovi progetti. Nel suo discorso al Senato Draghi ha dimostrato di aver ben chiara la sfida che vi è connessa: « La quota di prestiti aggiuntivi che richiedere­mo tramite la principale componente del programma, lo Strumento per la ripresa e resilienza, dovrà essere modulata in base agli obiettivi di finanza pubblica » . Ma modulata in che direzione? La risposta sarà decisiva per le sorti del Paese.

Sul “come”, è bene partire da un’evidenza nota, confermata da uno studio della Banca d’Italia che Mario Draghi governò anni addietro. In un Quaderno di economia e finanza di fine 2019, Busetti e 5 co- autori ebbero modo di sottolinea­re come con l’aumento della spesa pubblica per investimen­ti realizzato in deficit si genera una riduzione del rapporto debito pubblico- Pil tramite l’aumento dell’attività economica che ne consegue. Vi è però una condizione: che non vi siano “dispersion­i improdutti­ve”, ovvero che si garantisca la qualità della spesa legata agli investimen­ti. Un risultato che combacia con l’enfasi europea all’Italia di spendere una parte significat­iva dei fondi del Recovery verso l’otteniment­o di maggiore « capacità amministra­tiva » .

Ebbene è noto che il governo Conte nel suo Pnrr dedica al « rafforzame­nto e valorizzaz­ione del capitale umano » della Pubblica amministra­zione la misera cifra di 720 milioni di euro, ovvero lo 0,3% circa del totale dei fondi europei, circa 200 euro per dipendente pubblico. È impensabil­e affidare le ingenti somme allocate in nuovi progetti, gare d’appalto e ispezioni senza stanziare risorse essenziali per nuovi ( giovani) progettist­i, responsabi­li unici del procedimen­to e ispettori. Solo se almeno un 5% delle risorse, 10 miliardi di euro, sinora dedicate inspiegabi­lmente a incentivi, verrà reindirizz­ato su investimen­ti in capitale umano si potrà sperare che gli investimen­ti pubblici a valere sulle somme europee ( a prestito e a fondo perduto) vengano realizzati e non vengano sprecati, garantendo crescita, occupazion­e e riduzione del debito pubblico- Pil. È questa l’ultima, ma forse la più sfidante delle dimensioni sulla quale dovremo misurare se Draghi e la sua squadra si sono differenzi­ati, almeno nelle intenzioni di partenza, dal governo Conte. Nel Documento di economia e finanza primaveril­e troveremo la risposta.

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