L’innovazione guida la corsa verso Marte
La Nasa torna con il rover Perseverance, a breve anche i cinesi sbarcheranno sul pianeta: si apre un confronto geopolitico che è anche tecnologico
Marte è un pianeta abitato, ma solo da robot americani. La battuta che gira in questi giorni riflette perfettamente la situazione del Pianeta rosso che, al momento, ospita due grossi rover, oltre i mille chili e con dimensioni di un grosso suv, pienamente in salute, entrambi di Nasa. Uno è lì da un decennio, Curiosity, e l'altro, Perseverance, è appena arrivato ed è il primo tassello, fondamentale, dell’operazione Mars Sample Return, che ci riporterà pezzi di suolo marziano da analizzare nei laboratori terrestri. Almeno altri tre comunque, sempre Nasa, sono presenti ma defunti, dopo anni di onorato e utilissimo servizio.
Marte sarà anche il teatro, prima a maggio e poi nel 2022, di un possibile cambiamento importante nella geopolitica spaziale, e quindi anche terrestre. Prima avremo, fra un paio di mesi, il tentativo dei cinesi di far arrivare al suolo il loro rover, Tianwen- 1, operazione che finora è riuscita solo agli americani in modo soddisfacente, e poi l’anno prossimo tocca all’Europa, con la seconda parte della missione Exomars, in cui l’Italia gioca una parte importante, anche finanziaria. I cinesi sono già attorno a Marte, ci sono arrivati il 10 febbraio, e hanno scelto una tecnica di atterraggio in due tempi: per ora circolano attorno al pianeta per studiarlo, poi, a maggio, la piattaforma che contiene il rover si staccherà e andrà ad atterrare.
Se questo succederà, la Cina avrà raggiunto finalmente Stati Uniti e anche i suoi alleati spaziali. Hanno conquistato la faccia nascosta della Luna lo scorso anno e hanno in programma anche una stazione spaziale, ridotta rispetto a quella internazionale, la Iss, ma di seconda generazione. Luna, Stazione spaziale, Marte e tutto in perfetta autonomia. Se riescono con Marte avremo da lì in poi un testa a testa con gli Usa.
Attorno al pianeta, poi, orbitano tanti satelliti, vecchi e nuovi in termini di data di arrivo, che lo studiano con strumenti diversi: camere fotografiche per mapparlo, spettroscopi per capire di cosa è fatto e radar per vedere cosa c’è nell’immediato sottosuolo. Ce ne sono talmente tanti che già nel 2015 Nasa chiese di stabilire regole, anche di reciproca informazione fra Stati, per evitare costosissimi scontri. Infatti, se è vero che stiamo vivendo un momento in cui il solito Elon Musk, con la sua SpaceX, lancia decine di satelliti alla volta per la rete di satelliti da cui farà piovere Internet dal cielo, occorre ricordare che quelli che vanno in orbita terrestre bassa, fra i 400 e i 1.000 chilometri dal suolo, sono ormai oggetti di basso prezzo, poche centinaia di migliaia di dollari, poca cosa rispetto ai 2,7 miliardi necessari finora per la missione Perseverance.
Due mondi complementari, ma diversi per cause strutturali: mandare a 200 milioni di chilometri da casa un mezzo spaziale che deve fare quel che farà Perseverance è cosa ben diversa dallo spedire a mille chilometri un perfezionato trasmettitore- ripetitore per Internet. L’ultimo dei satelliti arrivati attorno a Marte, e che lì rimarrà, è quello degli Emirati Arabi Uniti, nome Al Amal, la Speranza, che ha bruciato sul filo di lana quello cinese arrivando un giorno prima, il 9 febbraio. È stato comperato, in pratica, chiavi in mano negli Usa con una operazione che ha un suo senso: ha permesso in effetti a un Paese piccolo, ma ricco, di formare in tempo record un gruppo di ingegneri emiratini che ora possono lavorare per conto loro.
Con lo stupendo arrivo di Perseverance su Marte sono anche riprese le riflessioni, spesso polemiche, sull’impegno in campo spaziale: perché, insomma, andiamo su Marte, quando ci sarebbe tanto da fare qui sulla Terra? Sono interrogativi che toccano in fondo il rapporto fra l’umanità e il cielo, inteso come oggetto sconosciuto, misterioso o, ancor di più, sacro. Si potrebbe cinicamente rispondere che il miliardo o poco più che l’Italia impiega nello spazio, con un ritorno da 1,3 a 6 euro per ogni euro impiegato dallo Stato, è poco rispetto ai 20 almeno che ogni anno vengono spesi per lotterie varie, per non parlare di roba che fa anche male. Ma la risposta più banale è che si può andare su Marte e anche migliorare la vita sulla Terra, anzi!
I report che ogni anno vengono sfornati dalle Agenzie spaziali riportano decine se non centinaia di ricadute tecnologiche, dalla medicina all’ingegneria, ma vengono spesso ignorati dai media. Val la pena di ricordare la recente strepitosa vittoria di Prada alla Coppa Vuitton. Anche in quel caso ci sono stati mugugni perché effettivamente queste meravigliose barche sembrano ormai farfalle o meglio idrovolanti che non decollano. Non è un tradimento, ma l’apoteosi della ingegneria nautica, come la F1 lo è per le auto e le ricadute si vedranno.
Marte è l’unico posto in cui possiamo andare, ha le condizioni giuste anche se diversissime dalle nostre e forse un giorno potremo arrivarci, si lavora per questo, a cominciare proprio dal sempre presente Elon Musk, che di imprese a base tecnologica sembra proprio che se ne intenda. Non ha senso fermarsi e darsi limiti, occorre investire in ricerca, pensare l’impensabile, porsi problemi che non si sa risolvere. Da questo, come è sempre stato, discendono benefici per la nostra vita quotidiana. Quando toccheremo il nostro smartphone, dopo aver finito di leggere questo articolo, pensiamo che è per il 90% figlio della conquista dello spazio, ma di ricadute dalla tecnologia spaziale siamo assediati letteralmente, solo che non ce ne accorgiamo. « Dare mighty things » , « Osa cose grandiose » , è il perfetto motto di Perseverance.
L’Italia ha investito un miliardo nello spazio con un ritorno di 1,3- 6 € per ogni euro speso