Medio Oriente: il vaccino impossibile nelle zone ancora teatro di guerra
In Yemen, Siria e Iraq, tra bombe, raid aerei e fuoco incrociato di cecchini, le campagne di somministrazione stentano a partire. E la pandemia dilaga: con l’eccezione della Striscia di Gaza
Se anche arrivassero integri, se superassero i falsi checkpoint, se resistessero agli assalti di predoni, se passassero indenni le maglie della corruzione. Se, insomma, i medici in Yemen ricevessero finalmente una certa quantità di vaccini contro il Covid- 19, i problemi da superare sarebbero ancora molti. E grandi.
Come assicurare, per esempio, un’adeguata catena del freddo in un Paese devastato dalla guerra, dove le temperature superano già i 35 gradi e tra pochi mesi toccheranno i 45? E come vaccinare una persona due volte nei tempi previsti, quando i bombardamenti disperdono la popolazione creando uno sciame impazzito di profughi interni?
Benvenuti nelle terre più martoriate del Medio Oriente. Yemen, Siria, ma anche Iraq. Dove decine di milioni di persone attendono un vaccino che per molti arriverà forse solo tra due anni. Dove i coraggiosi operatori sanitari si trovano a corto anche dei dispositivi basilari per ridurre il rischio di contagiarsi. Le testimonianze sul campo offerte dallo staff di Medici senza frontiere ( Msf) tratteggiano un quadro preoccupante.
Il nostro viaggio virtuale parte dallo Yemen. Il Paese più povero del mondo arabo è dilaniato da una sanguinosa guerra giunta al 7° anno che si è lasciata dietro un Paese in macerie 115mila vittime, e milioni di profughi.
Taiz è l’emblema di questa guerra tra i ribelli sciiti Houti, sostenuti in parte dall’Iran, e le forze governative, sostenute dalla coalizione di monarchie sunnite guidata da Riad. Taiz è la città spaccata dal fronte, la più pericolosa. La chiamano “la città dei cecchini”. Il racconto sul campo di Marco Puzzolo, responsabile delle attività di Medici senza frontiere a Taiz, è toccante. « La popolazione è costretta a rischiare la vita ogni giorno ed è vittima delle conseguenze dirette ma anche di quelle indirette causate dal conflitto. Msf è presente e sta lavorando per consentire l’accesso gratuito alla sanità su entrambi i lati del fronte. Non è facile. Hanno colpito i nostri ospedali in Yemen già sei volte » .
In questo Paese il Covid sembra solo l’ultima di una lunga serie di emergenze sanitarie. La guerra ha rallentato, se non interrotto i già carenti programmi di vaccinazione di altre malattie. Difterite, morbillo, colera, quest’ultima ormai endemica.
In Yemen, come in altri Paesi mediorientali con le casse vuote e un sistema sanitario carente, la gente comincia a temere gli ospedali e ne sta lontano anche quando dovrebbe andarci per curare gravi malattie. « Lo Yemen versa in una situazione molto difficile - ci spiega da Beirut Salvatore Vicari, responsabile affari umanitari Msf per il Medio Oriente –. La prima ondata ha colpito duramente, anche se non risulta nelle cifre ufficiali proprio perché qui non c’è la possibilità di eseguire test in maniera rigorosa » . Qui la vaccinazione non è ancora arrivata. Si parla dei prossimi mesi. Un quantitativo del tutto inadeguato, distribuito da l programma Covax, sotto l’egida del Who. « In un nostro ospedale abbiamo assistito a un aumento del numero di pazienti non Covid perché altre strutture ospedaliere avevano chiuso. Il personale sanitario, in alcuni casi sprovvisto anche delle protezioni basilari, aveva paura di contagiarsi e non si presentava. Ecco perché – continua Vicari – è importantissimo vaccinare almeno tutto il personale sanitario. Perché le conseguenze negative colpiscono tutta la sanità » .
Nella turbolenta Siria nord- occidentale, l’ultima enclave che ospita i ribelli al regime di Damasco, ma anche gruppi estremisti, la situazione non è affatto facile. A prima vista il numero di contagi appare quasi rassicurante. Ma la spiegazione della dottoressa Chen Lym, coordinatore medico delle operazioni Msf in Siria nord- occidentale ci riporta alla realtà: « Su oltre quattro milioni di persone che vivono nella Siria nord- occidentale sono stati testati solo 95mila, meno del 3 per cento. Abbiamo appena introdotto il test diagnostico rapido oltre a quello molecolare, e disponiamo di programmi di triage per isolare i casi sospetti, e poi trattarli » . Forse è meno peggio di quel che sembri. Ma occorre fare in fretta prima che sia troppo tardi. « Finora nessuno è stato vaccinato. Nei prossimi mesi partirà un piano nazionale dell’Oms per vaccinare il 20% della popolazione. Non abbiamo registrato varianti del virus – conclude Lym - ma non facciamo il test sul genoma di tutti i positivi » .
Come una madre che abbraccia un bambino così la Siria avvolge quasi tutto il piccolo Libano. Conosciuto un tempo per essere la Svizzera del Medio Oriente, il Libano, rischia il disastro. La campagna di vaccinazione procede a rilento. Secondo il Governo, al 28 febbraio soltanto 34.986 persone sono state vaccinate. È una goccia in mezzo ad un mare in tempesta. La crisi finanziaria, scoppiata già prima dell’arrivo del Covid, ha messo al collasso il sistema sanitario pubblico in un Paese dove la salute è stata in buona parte privatizzata e i poveri sono in crescita esponenziale. Se a ciò si aggiunge il milione e mezzo di rifugiati siriani ( quasi il 25% della popolazione) , l’emergenza è facile da comprendere. Poco più a sud, in Israele quasi 85 persone su 100 hanno giù avuto una dose di vaccino, le casse del Governo di Beirut sono invece vuote. I contagiati sono 375mila, quasi il 6% della popolazione, ma potrebbero essere molti di più. « Il sistema sanitario locale fatica a far fronte alle richieste di cura che la pandemia comporta. Il problema è su scala nazionale, ma gran parte dei rifugiati siriani sono tra i più vulnerabili » , precisa Vicari.
L’Iraq se la passa probabilmente peggio. Negli ultimi 40 anni ha vissuto soltanto guerre e guerriglie intervallate da pochi anni di relativa pace. « Dopo il preoccupante incremento estivo dei casi la situazione è “più calma”. Ma in realtà i dati ufficiali sono poco rappresentativi. Il Covid in Iraq si aggiunge a un tale numero di altre crisi che anche la popolazione stessa non lo percepisce come la grande priorità » , spiega Vicari. I primi vaccini sono arrivati proprio ieri a Baghdad. Dalla Cina. Assicurare la catena del freddo sarà una sfida.
C’è invece una “regione” dove si temeva un ecatombe e che invece sembra aver retto all’urto del virus. È la Striscia di Gaza: un fazzoletto di terra dove due milioni di palestinesi vivono in campi profughi che vantano tra le densità più alte al mondo. Dove la raccomandazione del distanziamento è inapplicabile. Oltre alla giovanissima età media, a tenere distante il virus è stato un severissimo lockdown imposto da Israele ormai dal 2006, che da allora ha isolato Gaza dal mondo. « In questo momento il numero di casi di Covid è in forte calo e le prime dosi di vaccino sono arrivate, anche se ne servono di più – ci racconta da Gaza Francesco Segoni, dello staff di Msf - La vaccinazione contro il Covid è una priorità per tutte le categorie a rischio. E per il personale medico in qualunque parte del mondo » .
La testimonianza di Msf: « Ci capita spesso di non vedere più i pazienti per la seconda dose »