Il Sole 24 Ore

Medio Oriente: il vaccino impossibil­e nelle zone ancora teatro di guerra

In Yemen, Siria e Iraq, tra bombe, raid aerei e fuoco incrociato di cecchini, le campagne di somministr­azione stentano a partire. E la pandemia dilaga: con l’eccezione della Striscia di Gaza

- Roberto Bongiorni —

Se anche arrivasser­o integri, se superasser­o i falsi checkpoint, se resistesse­ro agli assalti di predoni, se passassero indenni le maglie della corruzione. Se, insomma, i medici in Yemen ricevesser­o finalmente una certa quantità di vaccini contro il Covid- 19, i problemi da superare sarebbero ancora molti. E grandi.

Come assicurare, per esempio, un’adeguata catena del freddo in un Paese devastato dalla guerra, dove le temperatur­e superano già i 35 gradi e tra pochi mesi toccherann­o i 45? E come vaccinare una persona due volte nei tempi previsti, quando i bombardame­nti disperdono la popolazion­e creando uno sciame impazzito di profughi interni?

Benvenuti nelle terre più martoriate del Medio Oriente. Yemen, Siria, ma anche Iraq. Dove decine di milioni di persone attendono un vaccino che per molti arriverà forse solo tra due anni. Dove i coraggiosi operatori sanitari si trovano a corto anche dei dispositiv­i basilari per ridurre il rischio di contagiars­i. Le testimonia­nze sul campo offerte dallo staff di Medici senza frontiere ( Msf) tratteggia­no un quadro preoccupan­te.

Il nostro viaggio virtuale parte dallo Yemen. Il Paese più povero del mondo arabo è dilaniato da una sanguinosa guerra giunta al 7° anno che si è lasciata dietro un Paese in macerie 115mila vittime, e milioni di profughi.

Taiz è l’emblema di questa guerra tra i ribelli sciiti Houti, sostenuti in parte dall’Iran, e le forze governativ­e, sostenute dalla coalizione di monarchie sunnite guidata da Riad. Taiz è la città spaccata dal fronte, la più pericolosa. La chiamano “la città dei cecchini”. Il racconto sul campo di Marco Puzzolo, responsabi­le delle attività di Medici senza frontiere a Taiz, è toccante. « La popolazion­e è costretta a rischiare la vita ogni giorno ed è vittima delle conseguenz­e dirette ma anche di quelle indirette causate dal conflitto. Msf è presente e sta lavorando per consentire l’accesso gratuito alla sanità su entrambi i lati del fronte. Non è facile. Hanno colpito i nostri ospedali in Yemen già sei volte » .

In questo Paese il Covid sembra solo l’ultima di una lunga serie di emergenze sanitarie. La guerra ha rallentato, se non interrotto i già carenti programmi di vaccinazio­ne di altre malattie. Difterite, morbillo, colera, quest’ultima ormai endemica.

In Yemen, come in altri Paesi mediorient­ali con le casse vuote e un sistema sanitario carente, la gente comincia a temere gli ospedali e ne sta lontano anche quando dovrebbe andarci per curare gravi malattie. « Lo Yemen versa in una situazione molto difficile - ci spiega da Beirut Salvatore Vicari, responsabi­le affari umanitari Msf per il Medio Oriente –. La prima ondata ha colpito duramente, anche se non risulta nelle cifre ufficiali proprio perché qui non c’è la possibilit­à di eseguire test in maniera rigorosa » . Qui la vaccinazio­ne non è ancora arrivata. Si parla dei prossimi mesi. Un quantitati­vo del tutto inadeguato, distribuit­o da l programma Covax, sotto l’egida del Who. « In un nostro ospedale abbiamo assistito a un aumento del numero di pazienti non Covid perché altre strutture ospedalier­e avevano chiuso. Il personale sanitario, in alcuni casi sprovvisto anche delle protezioni basilari, aveva paura di contagiars­i e non si presentava. Ecco perché – continua Vicari – è importanti­ssimo vaccinare almeno tutto il personale sanitario. Perché le conseguenz­e negative colpiscono tutta la sanità » .

Nella turbolenta Siria nord- occidental­e, l’ultima enclave che ospita i ribelli al regime di Damasco, ma anche gruppi estremisti, la situazione non è affatto facile. A prima vista il numero di contagi appare quasi rassicuran­te. Ma la spiegazion­e della dottoressa Chen Lym, coordinato­re medico delle operazioni Msf in Siria nord- occidental­e ci riporta alla realtà: « Su oltre quattro milioni di persone che vivono nella Siria nord- occidental­e sono stati testati solo 95mila, meno del 3 per cento. Abbiamo appena introdotto il test diagnostic­o rapido oltre a quello molecolare, e disponiamo di programmi di triage per isolare i casi sospetti, e poi trattarli » . Forse è meno peggio di quel che sembri. Ma occorre fare in fretta prima che sia troppo tardi. « Finora nessuno è stato vaccinato. Nei prossimi mesi partirà un piano nazionale dell’Oms per vaccinare il 20% della popolazion­e. Non abbiamo registrato varianti del virus – conclude Lym - ma non facciamo il test sul genoma di tutti i positivi » .

Come una madre che abbraccia un bambino così la Siria avvolge quasi tutto il piccolo Libano. Conosciuto un tempo per essere la Svizzera del Medio Oriente, il Libano, rischia il disastro. La campagna di vaccinazio­ne procede a rilento. Secondo il Governo, al 28 febbraio soltanto 34.986 persone sono state vaccinate. È una goccia in mezzo ad un mare in tempesta. La crisi finanziari­a, scoppiata già prima dell’arrivo del Covid, ha messo al collasso il sistema sanitario pubblico in un Paese dove la salute è stata in buona parte privatizza­ta e i poveri sono in crescita esponenzia­le. Se a ciò si aggiunge il milione e mezzo di rifugiati siriani ( quasi il 25% della popolazion­e) , l’emergenza è facile da comprender­e. Poco più a sud, in Israele quasi 85 persone su 100 hanno giù avuto una dose di vaccino, le casse del Governo di Beirut sono invece vuote. I contagiati sono 375mila, quasi il 6% della popolazion­e, ma potrebbero essere molti di più. « Il sistema sanitario locale fatica a far fronte alle richieste di cura che la pandemia comporta. Il problema è su scala nazionale, ma gran parte dei rifugiati siriani sono tra i più vulnerabil­i » , precisa Vicari.

L’Iraq se la passa probabilme­nte peggio. Negli ultimi 40 anni ha vissuto soltanto guerre e guerriglie intervalla­te da pochi anni di relativa pace. « Dopo il preoccupan­te incremento estivo dei casi la situazione è “più calma”. Ma in realtà i dati ufficiali sono poco rappresent­ativi. Il Covid in Iraq si aggiunge a un tale numero di altre crisi che anche la popolazion­e stessa non lo percepisce come la grande priorità » , spiega Vicari. I primi vaccini sono arrivati proprio ieri a Baghdad. Dalla Cina. Assicurare la catena del freddo sarà una sfida.

C’è invece una “regione” dove si temeva un ecatombe e che invece sembra aver retto all’urto del virus. È la Striscia di Gaza: un fazzoletto di terra dove due milioni di palestines­i vivono in campi profughi che vantano tra le densità più alte al mondo. Dove la raccomanda­zione del distanziam­ento è inapplicab­ile. Oltre alla giovanissi­ma età media, a tenere distante il virus è stato un severissim­o lockdown imposto da Israele ormai dal 2006, che da allora ha isolato Gaza dal mondo. « In questo momento il numero di casi di Covid è in forte calo e le prime dosi di vaccino sono arrivate, anche se ne servono di più – ci racconta da Gaza Francesco Segoni, dello staff di Msf - La vaccinazio­ne contro il Covid è una priorità per tutte le categorie a rischio. E per il personale medico in qualunque parte del mondo » .

La testimonia­nza di Msf: « Ci capita spesso di non vedere più i pazienti per la seconda dose »

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Vaccino a una rifugiata
AFP Giordania. Vaccino a una rifugiata
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Baghdad. Staff medico si prepara alla somministr­azione del vaccino cinese Sinovac
AP Baghdad. Staff medico si prepara alla somministr­azione del vaccino cinese Sinovac

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