ORA SAPPIAMO COSA PUÒ DETERMINARE L’AIUTO DI STATO
Ieri alle 9, puntualmente ( come era stato da tempo preannunciato), la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha depositato la propria sentenza sul caso Tercas che - respingendo l'impugnazione della Commissione europea - conferma la sentenza del Tribunale Ue del 19 marzo 2019, la quale aveva escluso che l'aiuto fornito alla Cassa di risparmio di Teramo dal Fondo interbancario italiano potesse essere considerato “aiuto di Stato” come aveva invece ritenuto la Commissione europea pur essendo lo stesso Fondo alimentato esclusivamente da banche private.
Contro questa sentenza la Commissione aveva presentato ricorso il 29 maggio dello stesso anno e, su questo, si è dunque ora pronunciata - come detto - la
Corte di Giustizia, nella sua composizione - richiesta dalla Repubblica italiana - di “Grande Sezione” e cioè in composizione di 15 giudici ( Presidente Leanerts, Relatrice Silva de Lapuerta). L’Avvocato generale Tanchev aveva presentato le sue conclusioni all'udienza del 29 ottobre dello scorso anno.
Nell’impugnativa della sentenza del Tribunale europeo, la Commissione aveva sostenuto che il Fondo interbancario non potesse comunque essere considerato soggetto privato, ma dovesse essere ritenuto ente di emanazione dello Stato. Ugualmente la Commissione aveva lamentato che il Tribunale avesse, a suo parere, errato valutando gli indizi offerti dalla Commissione in modo separato l’uno dall’altro, senza considerarli nel loro insieme e nei loro contesti. Ugualmente sosteneva la Commissione che la decisione del Tribunale fosse viziata dal fatto di ritenere che la Banca d’Italia avesse esercitato, nella vicenda, un mero controllo di legittimità, nonché facendo riferimento all'esistenza di due metodi di finanziamento, in mancanza invece di una distinzione fra interventi obbligatori ( di rimborso dei depositanti) e interventi di diversa natura ( come quello per la Tercas) trattandosi di finanziamenti finanziati entrambi allo stesso modo.
Nella sentenza ieri depositata, la Corte di Giustizia - dopo aver dichiarata la ricevibilità dell’impugnazione e l’infodatezza di quanto appena riferito - ricorda che la qualificazione come “aiuto di Stato” presuppone la presenza di quattro condizioni, ovvero che sussista un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali, che tale intervento possa incidere sugli scambi fra gli Stati membri, che esso conceda un vantaggio selettivo al suo beneficiario e che falsi o minacci di falsare la concorrenza. Al proposito, la Corte ha evidenziato che, nel caso Tercas, l’ente erogatore dell’aiuto aveva natura privata, essendo al proposito comunque rilevante l'assenza di un vincolo di capitale fra lo stesso ente e lo Stato.
In un altro, separato motivo di impugnazione, la Commissione aveva poi rilevato lo snaturamento da parte della sentenza impugnata, rispettivamente del diritto nazionale e dei fatti pertinenti. Ma la Grande Sezione ha respinto anche questo motivo ricordando quanto il Tribunale aveva sottolineato e cioè che la Banca d’Italia autorizza gli interventi dei sistemi di garanzia dei depositi « avendo riguardo alla tutela dei risparmiatori e alla stabilità del sistema bancario » .
‘‘ La Corte ha evidenziato che nel caso Tercas l’ente erogatore dell’aiuto aveva natura privata
‘‘ Ribadito che Banca d’Italia autorizza gli interventi solo con riguardo alla tutela dei risparmiatori
« Orbene - ha detto il Tribunale nella propria sentenza - il tenore letterale della relativa disposizione consente di considerare che la Banca d'Italia, così come le altre Autorità parimenti responsabili della tutela degli interessi pubblici, sia legittimata ad effettuare un controllo degli interventi dei sistemi di garanzia dei depositi alla luce del quadro normativo vigente, al fine di tutelare tali interessi » .
In sostanza la Corte di Giustizia, rilevato che nessuno dei due motivi dedotti dalla Commissione a sostegno dell'impugnazione veniva accolto, ha dichiarato che l'impugnazione stessa doveva essere ( e così ha deciso) “respinta integralmente”.
Da ultimo la Commissione, rimasta soccombente in sede di impugnazione, è stata condannata alle spese.