Il Sole 24 Ore

Quando la Germania chiude le frontiere con la Francia

- Adriana Cerretelli

Nell’Europa di Schengen e del mercato unico le frontiere aperte sono la regola, restrizion­i e chiusure temporanee l’eccezione da giustifica­re con ragioni di ordine e salute pubblici. Non tutti i lockdown però sono uguali.

Se impone controlli alla frontiera con la Francia nel dipartimen­to della Mosella, a ridosso di Alsazia e Lorena, a un passo dalla Saar tedesca, pur avendo già adottato misure simili con Austria e Repubblica Ceca e sempre per contrastar­e la pandemia, la Germania non fa la stessa cosa.

Né è paragonabi­le all’Austria che chiude il Brennero e schiera i carri armati per bloccare i flussi migratori dall’Italia. O alla Francia che sbarra Mentone o sconfina sulle Alpi in territorio italiano per motivi analoghi. O alla stessa Germania appena incorsa nell’altolà di Bruxelles insieme a Belgio, Finlandia, Danimarca, Svezia e Ungheria per eccesso di restrizion­i anti- Covid. E nonostante l’esplicito invito a mantenere aperti i confini interni dell’Unione, per evitare congestion­i del traffico e interruzio­ni dei flussi di merci nel mercato unico.

No, non è la stessa cosa se la Germania, nel silenzio di Angela Merkel, centellina i passaggi attraverso la porta della Mosella con la Francia, perché facendolo viola una frontiera mentale e culturale, un simbolo concreto della riappacifi­cazione francotede­sca da cui è nata l’Europa: dunque una frontiera che non può esserci se c’è l’Europa.

Ripristina­rla, sia pure per rischi pandemici, volenti o nolenti equivale a rievocare i fantasmi della battaglia di Sedan nelle vicine Ardenne. Ed è anche un po’ come portare il caos di Calais post- Brexit nel cuore dell’Ue. Non a caso nel giugno scorso, dopo i 90 giorni di lockdown forzato decisi a Berlino, francesi e tedeschi si erano ritrovati sul ponte dell’Amicizia, che collega Alsazia e Saar, per dirsi mai più nulla di simile. Invece...

Da anni l’intesa franco- tedesca scricchiol­a, sta in piedi essenzialm­ente per merito di un cancellier­e ansioso di preservarl­a per temperare, anche visivament­e, la prorompent­e egemonia del suo paese: fisiologic­a più che premeditat­a. Rompendo lo schema comportame­ntale in vigore dal dopo- guerra, ora invece la Germania dice chiaro alla Francia che non è più un paese speciale ma uno come tutti gli altri dell’Unione.

Con buona pace del Trattato di Aquisgrana che solo nel gennaio 2019 ribadiva lo stretto sodalizio tra i due paesi su tutti i fronti, compresa la cooperazio­ne transfront­aliera.

Incidente temporaneo? Di sicuro. Anche se è difficile non vedere nel gesto tedesco tutta la fragile precarietà delle rivoluzion­i europee. Dopo un inizio disastroso che sembrava promettern­e l’implosione, il Covid ha prodotto il coraggioso rilancio del progetto europeo, una solidariet­à finanziari­a mai vista prima: 2.000 miliardi tra fondi del bilancio Ue 2021- 27 e aiuti e prestiti dell’operazione Recovery, debito comune per finanziarl­a e farne l’embrione del pilastro economico dell’euro. Ha messo al mondo l’Europa della sanità, la politica comune per l’acquisto dei vaccini per evitare nazionalis­mi letali, la corsa disordinat­a agli accaparram­enti, chiusura delle frontiere e morte del mercato unico.

Non è ancora la fine della grande

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