Quando la Germania chiude le frontiere con la Francia
Nell’Europa di Schengen e del mercato unico le frontiere aperte sono la regola, restrizioni e chiusure temporanee l’eccezione da giustificare con ragioni di ordine e salute pubblici. Non tutti i lockdown però sono uguali.
Se impone controlli alla frontiera con la Francia nel dipartimento della Mosella, a ridosso di Alsazia e Lorena, a un passo dalla Saar tedesca, pur avendo già adottato misure simili con Austria e Repubblica Ceca e sempre per contrastare la pandemia, la Germania non fa la stessa cosa.
Né è paragonabile all’Austria che chiude il Brennero e schiera i carri armati per bloccare i flussi migratori dall’Italia. O alla Francia che sbarra Mentone o sconfina sulle Alpi in territorio italiano per motivi analoghi. O alla stessa Germania appena incorsa nell’altolà di Bruxelles insieme a Belgio, Finlandia, Danimarca, Svezia e Ungheria per eccesso di restrizioni anti- Covid. E nonostante l’esplicito invito a mantenere aperti i confini interni dell’Unione, per evitare congestioni del traffico e interruzioni dei flussi di merci nel mercato unico.
No, non è la stessa cosa se la Germania, nel silenzio di Angela Merkel, centellina i passaggi attraverso la porta della Mosella con la Francia, perché facendolo viola una frontiera mentale e culturale, un simbolo concreto della riappacificazione francotedesca da cui è nata l’Europa: dunque una frontiera che non può esserci se c’è l’Europa.
Ripristinarla, sia pure per rischi pandemici, volenti o nolenti equivale a rievocare i fantasmi della battaglia di Sedan nelle vicine Ardenne. Ed è anche un po’ come portare il caos di Calais post- Brexit nel cuore dell’Ue. Non a caso nel giugno scorso, dopo i 90 giorni di lockdown forzato decisi a Berlino, francesi e tedeschi si erano ritrovati sul ponte dell’Amicizia, che collega Alsazia e Saar, per dirsi mai più nulla di simile. Invece...
Da anni l’intesa franco- tedesca scricchiola, sta in piedi essenzialmente per merito di un cancelliere ansioso di preservarla per temperare, anche visivamente, la prorompente egemonia del suo paese: fisiologica più che premeditata. Rompendo lo schema comportamentale in vigore dal dopo- guerra, ora invece la Germania dice chiaro alla Francia che non è più un paese speciale ma uno come tutti gli altri dell’Unione.
Con buona pace del Trattato di Aquisgrana che solo nel gennaio 2019 ribadiva lo stretto sodalizio tra i due paesi su tutti i fronti, compresa la cooperazione transfrontaliera.
Incidente temporaneo? Di sicuro. Anche se è difficile non vedere nel gesto tedesco tutta la fragile precarietà delle rivoluzioni europee. Dopo un inizio disastroso che sembrava prometterne l’implosione, il Covid ha prodotto il coraggioso rilancio del progetto europeo, una solidarietà finanziaria mai vista prima: 2.000 miliardi tra fondi del bilancio Ue 2021- 27 e aiuti e prestiti dell’operazione Recovery, debito comune per finanziarla e farne l’embrione del pilastro economico dell’euro. Ha messo al mondo l’Europa della sanità, la politica comune per l’acquisto dei vaccini per evitare nazionalismi letali, la corsa disordinata agli accaparramenti, chiusura delle frontiere e morte del mercato unico.
Non è ancora la fine della grande