LA STRATEGIA PD CHE MANCA SE CONTE RUBA VOTI A SINISTRA
Ieri nel campo del centro- sinistra due fatti hanno mosso la scena in direzioni se non opposte, certamente diverse. Da un lato c’è stata la direzione del Pd del Lazio che aveva al primo punto dell’ordine del giorno l’allargamento della maggioranza regionale di Zingaretti ai 5 Stelle mentre in un altro luogo si svolgeva la riunione di Base riformista, corrente minoritaria nel partito ( ma maggioritaria nei gruppi parlamentari), che fa capo a Luca Lotti e al ministro della Difesa Guerini. E proprio Guerini ha chiesto esplicitamente che le scelte politiche – tra cui il patto con Conte e i grillini - dovranno essere discusse in un congresso « quando la pandemia lo consentirà » . Presumibilmente, insomma, prima delle prossime elezioni nazionali.
Lo stato del partito democratico è questo, una grande precarietà sul “dove” andare, che comincia a pesare sugli equilibri del Governo. Quello che il segretario Pd lamenta – e ha fatto sapere a Draghi – è che c’è un asse privilegiato con la Lega e che l’ultima e più eclatante prova sarebbe la rimozione di Arcuri come da tempo chiedeva proprio il leader leghista. Insomma, Zingaretti rischia di avere un ruolo secondario anche se il problema è legato non tanto ai gusti del premier ma alla solidità del partito. Tra l’altro, la richiesta di un congresso – al di là delle solite guerre tra correnti – ha un suo fondamento. Il punto è che c’è un fatto nuovo che obbliga i Democratici a una riflessione: il debutto di Conte come capo del Movimento. È quella la variabile che fa cortocircuito perché dopo aver invocato « o Conte o urne » , ora il Pd zingarettiano si ritrova con un nemico in casa visto che con una legge proporzionale i voti si rubano a chi sta nello stesso schieramento e non in quello opposto. Primi riscontri si hanno con i sondaggi che concordano sul fatto che l’ex premier vada a prendere consensi proprio al Pd che scenderebbe – secondo Swg – al 14%, dietro i 5 Stelle e pure Fratelli d’Italia. Uno scenario allarmante che dovrebbe affrettare una riflessione su come rendere compatibile – e non dannosa - l’alleanza con i grillini.
Tra l’altro è un problema che Zingaretti dovrebbe sentire con una certa urgenza per un motivo: che il Pd – insieme alla Lega – è l’unico partito radicato sui territori, fatto quindi di ceto politico, cariche amministrative, ruoli nelle partecipate locali. Un mondo da “nutrire” e alimentare che potrebbe spaventarsi e reagire, ben prima del segretario, alla luce di quei sondaggi. Se insomma i 5 Stelle possono affrontare un calo dei consensi con maggiore agilità, nel Pd questa fluidità non è consentita per il fatto che c’è una macchina da mantenere. E che aziona meccanismi difensivi se capisce che qualcosa può incepparla. È per questo che il tempo stringe, perché il nuovo competitor Conte si prepara. In fondo, se la corrente Base Riformista si spinge così in avanti è anche per la pressione di quella classe di amministratori che vede con preoccupazione i prossimi appuntamenti elettorali. E che vorrebbe discutere del patto con l’ex premier ma non dando già per scontato di esserne subalterni.