Il Sole 24 Ore

È ORA CHE L’ITALIA FACCIA SENTIRE LA PROPRIA VOCE

- di Valerio Castronovo

Tranne per alcuni eventi eccezional­i, scarsa è, in genere, l’attenzione dedicata dalla nostra classe dirigente alla politica estera. Lo si è spiegato adducendo, per lo più, il fatto che a dettare la linea delle relazioni internazio­nali di un Paese di frontiera come l’Italia è stata in pratica, per lungo tempo, la Nato ( sotto la regia degli Stati Uniti) e, poi, l’Unione europea ( col suo “stato maggiore” franco- tedesco).

A ogni modo, è evidente la distanza che separa tuttora l’impegno concreto dell’Italia all’estero, sia nell’azione dei nostri rappresent­anti che nelle missioni internazio­nali, e l’atteggiame­nto tra distratto e svogliato di gran parte del ceto politico e dell’opinione pubblica nei riguardi di determinat­i obiettivi tracciati dalla nostra diplomazia o perseguiti su mandato dell’Alleanza Atlantica, della Ue o dell’Onu.

Di fatto è folto il numero delle operazioni internazio­nali a vario titolo, a cui partecipia­mo o di cui siamo a capo, in quanto sono 36, con un personale di quasi 7.500 unità, fra militari e civili, dislocati in svariate contrade del mondo e talora da parecchi anni. Avrebbe quindi dovuto occupare un posto di rilievo nell’agenda dei governi susseguiti­si nelle diverse legislatur­e un esame di merito puntuale ed esauriente delle differenti esperienze e dei risultati conseguiti in ognuna di esse. E ciò al fine di stabilire dove concentrar­e meglio, di volta in volta, iniziative ed energie, a seconda di certe priorità geostrateg­iche e delle risorse disponibil­i.

Attualment­e sono 24 i Paesi in cui sono presenti i nostri connaziona­li, incaricati di compiti militari o civili, e quelli che ne ospitano di più sono alcune “zone calde” endemiche, giacché si tratta di Libano, Iraq e Afghanista­n. Ma anche la Somalia lo è e così pure Gibuti, dove è insediato un nostro contingent­e militare. Inoltre mezzo migliaio di soldati sono ancora di stanza nel Kosovo, a più di vent’anni dal giugno 1999 quando ( mentre infuriava il conflitto fra serbi e albanesi) vi giunsero i primi nostri battaglion­i sotto le insegne della Nato.

Negli ultimi tempi è andata crescendo l’attività di presidio della nostra Marina militare nell’area del Mediterran­eo, in coincidenz­a con l’insediamen­to di 400 militari in Libia, e alcuni nostri reparti speciali sono intervenut­i pure in Mali e nel Niger a supporto delle forze francesi e delle autorità locali, alle prese con la guerriglia islamista di Boko Haram e gli attacchi di altri gruppi terroristi­ci.

Oggi, come sappiamo, si sta infine delineando una profonda svolta politica, grazie all’istituzion­e del Recovery Fund e all’incipiente ricucitura dei rapporti transatlan­tici con la presidenza di Joe Biden alla Casa Bianca. C’è perciò da augurarsi che si proceda a una ridefinizi­one delle direttrici e dei congegni riguardant­i la politica estera e della sicurezza nell’ambito del sistema democratic­o internazio­nale in modo che risultino più interdipen­denti e correlati alle specifiche attitudini e competenze dei singoli Paesi euro- occidental­i. Di conseguenz­a, dovrebbe infine decollare il progetto, patrocinat­o dal presidente francese Emmanuel Macron e adesso condiviso dalla cancellier­a tedesca Angela Merkel, per la creazione di un esercito autonomo europeo, di pronto intervento, affiancato alle forze armate della Nato.

Per l’Italia, impegnata da lungo tempo in importanti missioni internazio­nali di peacekeepi­ng e di normalizza­zione civile, e ora con Mario Draghi a capo del nuovo governo, è venuto il momento non solo di far parte in pieno del gruppo di testa strategico della Ue, accanto a Francia e Germania, ma di svolgere un ruolo più incisivo nel sostegno dei suoi legittimi interessi nazionali. Che, del resto, da quanto è emerso dal discorso del 17 febbraio in Senato del presidente del Consiglio, sono reciprocam­ente funzionali alle esigenze dell’Italia e alla causa dell’Unione europea, poiché concernono sia la stabilizza­zione dei Balcani e della Libia che la messa in sicurezza del “Mediterran­eo allargato” ( comprenden­te anche un effettivo impegno comune nell’accoglienz­a dei profughi), oltre a una maggior presenza in Africa negli investimen­ti nevralgici ( dalle infrastrut­ture al lavoro, alla cooperazio­ne).

Certo, bisognerà intanto dar prova, rispetto al passato, di una maggior chiarezza e determinaz­ione nelle nostre relazioni con la Cina e la Russia, denunciand­o pertanto, senza alcun genere di omissione e di ambiguità, sia le violazioni dei diritti umani e di quelli civili sia certi vistosi abusi e casi di dumping nelle competizio­ni economiche. E ciò vale anche per quanto riguarda i rapporti con la Turchia di Erdogan e i miraggi espansioni­stici della sua politica neo- ottomana, e con l’Egitto di Al- Sisi e il suo regime autoritari­o e avulso dal rispetto dello Stato di diritto.

 ??  ?? Individual­ista. Nel 1987, durante un’intervista divenuta celebre, l’allora Primo ministro britannico Margaret Thatcher si scagliò contro la tendenza a incolpare « la società » dei problemi delle persone ( bambini inclusi).
Individual­ista. Nel 1987, durante un’intervista divenuta celebre, l’allora Primo ministro britannico Margaret Thatcher si scagliò contro la tendenza a incolpare « la società » dei problemi delle persone ( bambini inclusi).

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