Riparte la corsa alla fusione nucleare
È in costruzione nel sud della Francia il reattore del programma Iter, negli Usa anche Bill Gates e Jeff Bezos investono. Presenti pure le aziende italiane
Per la fusione nucleare mancano sempre vent’anni dalla metà del secolo scorso: è questa la battuta corrente tra i fisici quando si solleva l’argomento. Ma sull’energia delle stelle non ci sono mai stati così tanti investimenti come negli ultimi tempi: gli investitori più ricchi, da Bill Gates a Jeff Bezos, si stanno concentrando su quella che Stephen Hawking definì la tecnologia più promettente dell’umanità. Il fascino di una fonte energetica pulita, economica e forse illimitata è reso particolarmente attraente dalla crisi climatica. Da qui l’ondata di startup, sostenute da alcune delle migliori menti del mondo, che stanno cercando di accelerare i risultati, esplorando strade alternative, forme nuove e reattori più agili, anche grazie alle tecnologie di stampa in 3D e di intelligenza artificiale, che consentono di creare e testare rapidamente nuove versioni.
Le nuove iniziative sperano di iniziare a produrre energia entro il 2035, ben prima del mega- programma Iter, il più grande progetto di ricerca della storia, in cui 35 nazioni lavorano nel Sud della Francia a un gigantesco reattore da 25 miliardi di dollari, appena entrato nella terza fase, quella delle costruzione della macchina. Dalla scorsa estate il “tokamak” ( nome e design sovietico) è in fase di costruzione a Cadarache anche grazie al contributo di un centinaio di aziende italiane, tra cui Fincantieri, Ansaldo Energia, Vitrociset, Asg Superconductors, che hanno già acquisito oltre la metà dei 2,4 miliardi di euro messi a gara per questa fase. Il processo di assemblaggio dovrebbe essere completato in tre anni. La macchina di Iter ha un diametro di 30 metri, è alta altrettanto ed è il risultato del lavoro di 3.500 ricercatori, a cui la Ue contribuisce per oltre il 50% in termini di fondi e componenti. L’Italia costruisce 10 dei 18 magneti superconduttori e l’acceleratore di fasci neutri che permette di dare il via al processo. Alla fine del 2025 il reattore dovrebbe cominciare a funzionare, per dimostrare la fattibilità tecnologica della fusione. Anello di congiunzione tra Iter e l’utilizzo industriale della fusione, con orizzonte il 2050, è il progetto italiano Dtt ( Divertor Tokamak Test), coordinato dall’Enea, che sarà operativo da ottobre 2026 a Frascati.
In gara con questo Golia della ricerca c’è uno sciame di Davide impegnati su tecnologie concorrenti, sempre nell’ambito della fusione, che contrariamente alla fissione sprigiona energia unendo gli atomi, senza scorie e senza le radiazioni pericolose della fissione. La fusione è il modo in cui il sole, composto principalmente da idrogeno, produce energia. La forza di gravità schiacciante al centro della grande stella fonde gli atomi in quello che è noto come plasma, un gas caricato elettricamente in cui le particelle subatomiche possono muoversi liberamente. Senza l’estrema gravità del nucleo solare, la creazione del plasma sulla Terra richiede temperature molto più elevate del sole, fino a 150 milioni di gradi. Il calore viene generato attraverso potenti magneti, sparando particelle ad alta energia nel reattore e fulminandole con onde ad alta frequenza. Gli atomi di due isotopi di idrogeno vengono così schiacciati insieme per superare la forza che normalmente fa respingere i nuclei atomici a vicenda. Quando i loro nuclei collidono, fondendosi per formare l’elio, i neutroni rilasciati nel processo vengono convertiti in energia. Il problema fondamentale è che finora i reattori a fusione consumano più energia di quanta ne producano. Nel tokamak di Iter, i potenti elettromagneti sono disposti attorno a un enorme contenitore a forma di ciambella super raffreddato per mantenere in posizione il plasma surriscaldato.
Un modello concorrente, perseguito da diverse startup, è quello della Magnetized Target Fusion, una tecnologia ibrida che combina alcune funzioni tipiche del confinamento magnetico, utilizzato nel tokamak di Iter, con altre funzioni del confinamento inerziale, una branca della fusione perseguita soprattutto negli Stati Uniti, dal Livermore Labs. Come un tokamak, un reattore Mtf si concentra sul plasma caldo contenuto da un potente campo magnetico, ma le sue dimensioni sono molto più contenute.
Ladddove un tokamak viene riscaldato da una straordinaria potenza esterna, il reattore Mtf viene pressurizzato per surriscaldare il plasma, come in una festa piena di persone che ballano, dove la stanza si restringe sempre più. Questa pressione viene applicata da pistoni che si coordinano per creare un’onda di pressione. Da lì, il resto è un affare più prosaico. I neutroni caldi sfuggono al plasma, vengono catturati nel metallo liquido e la loro energia alimenta uno scambiatore di calore per produrre energia.
Con una camera principale di soli 3 metri di diametro, il reattore Mtf della canadese General Fusion, una startup finanziata da Jeff Bezos, è considerato piccolo per una tecnologia di fusione. General Fusion fa parte di una ventina di piccole aziende, fra cui la californiana Tae Technologies, la bostoniana Commonwealth Fusion Systems e la britannica First Light Fusion, che sono emerse negli ultimi anni. In complesso, si stima che più di 1,1 miliardo di dollari sia fluito nei nuovi progetti, che utilizzano le tecnologie emergenti per accelerare lo sviluppo dei reattori commerciali. L’ondata di capitale privato riflette non solo l’urgenza della crisi climatica, ma anche la convinzione che le nuove tecnologie sviluppate in questa corsa - fra cui superconduttori in grado di trasmettere energia in modo più efficiente e magneti ad alta potenza, che potrebbero rendere le risonanze magnetiche migliori e più economiche - avranno valore comunque, anche se la fusione avesse davvero bisogno di altri vent’anni per avere successo.
La ricerca prosegue ma il processo consuma sempre più energia di quella che produce