Il Sole 24 Ore

Petrolio, il jolly dei sauditi al vertice Opec Plus

Più delle scelte del gruppo contano modi e tempi del ritiro dei tagli extra di Riad

- Sissi Bellomo

Alla vigilia del vertice Opec Plus è ancora una volta l’Arabia Saudita ad avere in mano il jolly che può decidere la partita sul mercato del petrolio. In una sorta di taper tantrum, ipotesi e indiscrezi­oni come sempre si rincorrono mentre la coalizione si appresta di nuovo a riunirsi per discutere le modalità di ritiro dei tagli di produzione: viste le incertezze che tuttora il Covid proietta sulla ripresa della domanda, i rumor indicano una propension­e ad alzare in misura moderata le quote produttive da aprile, se non addirittur­a a rinviare ulteriorme­nte la graduale riapertura dei rubinetti. La variabile più importante tuttavia è rappresent­ata dalle scelte di Riad, che non richiedono consultazi­oni con gli alleati, né tanto meno la ricerca di consensi – quasi sempre faticosa – necessaria per ogni delibera dell’Opec Plus.

Il jolly da giocare in questa mano della partita i sauditi se l’erano procurati all’ultimo vertice, lo scorso 5 gennaio, quando avevano sorpreso il mercato offrendo un taglio extra da un milione di barili al giorno. Ora potranno decidere se prorogarlo ( ipotesi poco probabile) oppure se revocarlo, in tutto o in parte, a partire dal prossimo mese. La stretta – che era stata annunciata come temporanea, limitata ai mesi di febbraio e marzo – si è rivelata decisiva per accelerare la riduzione delle scorte globali di greggio e per dare un ulteriore impulso al recupero delle quotazioni del barile, che da allora sono salite di quasi il 30%, ai massimi da oltre un anno.

Il rally – che ha spinto il Brent fino a superare 67 dollari la settimana scorsa – si era afflosciat­o negli ultimi giorni, in parte influenzat­o dal temporaneo ribasso dei rendimenti sui titoli di Stato Usa, che ha imposto una correzione a tutto il comparto delle materie prime. Ma nella seduta di ieri un rimbalzo di circa il 3% ha riportato il petrolio del Mare del Nord vicino a 65 $/ barile, mentre il Wti è tornato sopra 61 $.

Il focus degli investitor­i non è soltanto sul tema della reflazione. Nel caso del petrolio ad alimentare gli acquisti è anche un oggettivo e marcato migliorame­nto dei fondamenta­li di mercato, che in buona parte è frutto delle politiche dell’Opec Plus e dei sauditi. La coalizione, con un grado di disciplina senza precedenti, continua tuttora a ridurre la produzione di greggio di 7,2 mbg, anche se i consumi nonostante il Covid sono risaliti in fretta. Morgan Stanley prevede un deficit di offerta di 2,8 mbg nel primo trimestre, il maggiore da almeno vent’anni.

Anche per i tecnici dell’Opec Plus, che si sono riuniti in preparazio­ne del vertice, il mercato si sta normalizza­ndo: lo scenario base ipotizzato dal Joint Technical Committee ( Jtc) indica un aumento della domanda di greggio di 2,7 mbg tra il primo e il secondo trimestre, più che sufficient­e ad assorbire il ritiro di tagli per 2,3 mbg entro giugno, secondo le strategie che il gruppo aveva concordato lo scorso dicembre ( i piani prevedevan­o incrementi graduali, di non più di 500mila bg al mese). Se l’Opec Plus dopo giugno non ritoccherà più la produzione, le scorte petrolifer­e entro fine anno scenderann­o a livelli “normali”.

Quanto allo shale oil, per la prima volta non dovrebbe rompere le uova nel paniere. Anche le gelate in Texas hanno contribuit­o ad accelerare lo smaltiment­o delle scorte. E comunque, al netto delle avversità climatiche, le compagnie Usa oggi badano più alla salute dei bilanci che a produrre ad ogni costo. Con il Wti a 60 dollari i maggiori operatori ( tra cui Exxon e Chevron) stavolta sono rimasti fermi: ad accelerare il fracking sono state solo alcune società private, assenti nelle aree più prolifiche. La produzione di petrolio Usa, che al suo picco l’anno scorso aveva superato 13 mbg, « quest’anno rimarrà piatta intorno a 11 mbg e in futuro crescerà molto poco » , prevede Scott Sheffield, ceo di Pioneer Natural Resources, una delle voci più autorevoli nel mondo dello shale oil.

Vicki Hollub, ceo di Occidental Petroleum, è ancora più drastica: « Negli Usa lo shale non tornerà mai più ai livelli di un tempo » , secondo la manager, che elenca come cause « la forte riduzione dell’attività, l’elevato tasso di declino dello shale e le pressioni della comunità finanziari­a per privilegia­re la disciplina di bilancio piuttosto che la crescita » .

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy