Il Sole 24 Ore

Nell’Iraq post bellico l’instabilit­à blocca lo sviluppo

- Roberto Bongiorni

Èsufficien­te un elenco sommario dei mali che affliggono l’Iraq per avere un’idea di quanto è complesso il Paese mediorient­ale dove, a partire da domani, si recherà in visita il Papa. I mali, quelli più noti, sono una crisi economica senza precedenti, un’ondata di proteste popolari, represse nel sangue, una corruzione endemica, il risorgere di cellule dell’Isis, i razzi delle milizie filo- iraniane contro le basi militari americane ( solo ieri l’ultimo lancio). Sullo sfondo la Pandemia di Covid fronteggia­ta da un sistema sanitario fatiscente ed il ritorno del terrorismo islamico.

L’Iraq non sta certo vivendo il suo periodo più felice. Pare condannato ad una cronica instabilit­à. D’altronde, dallo scoppio della sanguinosa guerra contro l’Iran ( 1980- 1988) l’ex regno di Saddam Hussein ha conosciuto altri tre grandi conflitti, oltre a disordini vari. Insomma 40 anni di violenze intervalla­ti da pochi anni di relativa stabilità.

Il problema è che, seguendo un copione noto da queste parti, cambiando i governanti il risultato non cambia. Salita al potere nelle elezioni del 2005, la maggioranz­a sciita non è stata capace di riportare ordine e far decollare l’economia di un Paese con una dote di 143 miliardi di barili di riserve provate, le quinte al mondo. Petrolio di qualità. Con costi di estrazione tra i più bassi al mondo. Il crollo dei prezzi del greggio ha poi inferto il colpo di grazia. I Governi sciiti, fortemente influenzat­i dall’Iran, hanno poi commesso dure discrimina­zioni vero le minoranze, in primo luogo quella sunnita, un tempo al potere con Saddam. Nonostante la fuga di molti cristiani caldei e di altre minoranze che popolavano la piana di Ninive, l’Iraq resta un calderone multietnic­o e multiconfe­ssionale. Entro i suoi confini vivono sciiti, sunniti, ma anche caldei e yazidi. Vi sono arabi, ma anche curdi, turcomanni, shabak e altre etnie.

Per anni il Paese è stato diviso e traumatizz­ato dalle violenze interconfe­ssionali tra sunniti e sciiti. In questo contesto la protesta popolare che ha preso il via nell’autunno del 2019 ha rappresent­ato un evento storico. Non era mai accaduto veder manifestar­e insieme sciiti, sunniti e curdi. Tutti uniti nel protestare contro la corruzione e il caro vita, tutti determinat­i a chiedere la dimissioni del Governo e la fine dell’ingerenza iraniana. Finora la Primavera irachena non ha ottenuto ciò che chiedeva

Il ritornello è lo stesso. Senza sicurezza non si può avviare lo sviluppo del Paese. Ma la sicurezza è materia complessa. Perché vi sono troppi attori in gioco con interessi in conflitto. Il capitolo milizie sciite filo- iraniane è un tasto dolente. Non solo per gli americani, ma anche per molti partiti politici iracheni, desiderosi di smarcarsi dal giogo iraniano e incamminar­e il Paese verso un’indipenden­za reale. Quelle paramilita­ri semi- ufficiali, come le Brigate Badr, le Asa’ib Ahl al- Haq e le Kata’ib Hizbollah, si sono rafforzate durante la guerra contro l’Isis, dove hanno contribuit­o alla riconquist­a di diverse città e oggi sono radicate nell’apparato della sicurezza nazionale. Tanto da influenzar­ne anche la vita politica. Le 12 milizie raggruppat­e sotto l’ombrello delle “Unità di mobilitazi­one popolare”, un “esercito” di 100mila uomini, hanno ricevuto nel 2019 2,6 miliardi di dollari dal Governo.

A gettare benzina sul fuoco è il “lascito” delle ostilità tra l’Amministra­zione dell’ex presidente americano Donald Trump da una parte e il regime iraniano dall’altra: ovvero l’emergere di circa 12 agguerrite milizie che agiscono nell’ombra. L’attacco di ieri contro la base aerea di Ain al- Asad, nella provincia di Anbar, è il quarto in soli 30 giorni condotto con razzi contro le forze Usa in Iraq ( 2.500 militari). Un trend preoccupan­te.

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Domani Papa Francesco partirà per la visita di quattro giorni in Iraq, il primo viaggio del Pontefice in era Covid
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Paese in lockdown. Domani Papa Francesco partirà per la visita di quattro giorni in Iraq, il primo viaggio del Pontefice in era Covid EPA

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