Patto Ue Dombrovskis apre sugli investimenti ambientali
La riforma del Patto accelera. Il vicepresidente Ue: abbandonare il deficit strutturale Gentiloni: proposta della Commissione per chiudere la consultazione entro il 2021
Il vice della commissione Ue, Valdis Dombrovskis
Al suo rientro in gioco ora in calendario nel 2023 il Patto di stabilità comunitario non seguirà più l’impianto che l’ha guidato fino all’attivazione della « clausola di fuga » decisa l’anno scorso. Questa, almeno, è l’intenzione della Commissione Ue, in un’ottica che vede la decisione su un altro anno di stop per il 2022 indicata mercoledì come la premessa per la riforma strutturale delle regole fiscali europee ( come spiegato sul Sole 24 Ore di ieri): riforma su cui ieri il vicepresidente dell’esecutivo comunitario Valdis Dombrovskis e il commissario all’Economia Paolo Gentiloni hanno indicato alcune parole chiave negli interventi di ieri alla commissione Econ del Parlamento europeo guidata da Irene Tinagli.
Ad accendere le attenzioni italiane è stata soprattutto la dose di cautela, giudicata significativamente inferiore rispetto al passato, dispensata da Dombrovskis sull’ipotesi di una golden rule che escluda dai vincoli generali del Patto una quota degli investimenti pubblici nella transizione digitale ed ecologica. « Nella trasformazione delle nostre economie – ha detto il vicepresidente della commissione – ci potrebbe essere margine per discutere se ci possa essere una clausola verde per gli investimenti in regola con il green deal » .
Queste parole che descrivono le ipotesi di « golden rule limitata » presenti nei dossier tecnici e politici sulla revisione del Patto sono state accolte con calore da gruppi politici italiani, in particolare dai Cinque Stelle che parlano di « apertura alla nostra proposta » che prevede « lo scorporo delle spese green dal calcolo del deficit pubblico » . Le certezze, al momento, sono due: nel dibattito sulla riforma si studiano le possibili soluzioni per rendere l’architettura del Patto più aperta agli investimenti in linea con le direttrici della strategia comunitaria collegate al « Green New Deal » , e il confronto promette di essere serrato fra le esigenze di consolidamento nei Paesi più indebitati e quelle di adeguamento delle regole fiscali Ue a un quadro travolto dalla crisi pandemica.
Non va dimenticato però che la discussione sul ripensamento del Patto di stabilità precede l’arrivo del Covid19. Il virus ne accentua ovviamente l’urgenza, mettendo in programma una proposta della Commissione « più tardi nel corso dell’anno » come indicato da Gentiloni per una consultazione per potrebbe chiudersi entro il 2021. Ma l’analisi ha già messo sotto la lente una serie di difetti strutturali evidenziati anche dai Rapporti dell’European Fiscal Board, l’Authority tecnica sui conti comunitari.
I punti principali sono stati ricordati ieri dallo stesso Dombrovskis, che ha sottolineato l’intenzione di « allontanarci dai parametri di aggiustamento strutturale e output gap perché sono volatili, difficili da stimare e guardano all’indietro piuttosto che in avanti » . E, si può aggiungere, pur animando infiniti confronti bizantini fra gli esecutivi nazionali e comunitari hanno fallito nel loro compito principale di tenere sotto controllo i debiti dei Paesi a più alto rischio. Al loro posto, sempre in linea con i dossier prodotti dall’Efb, il nuovo Patto abbozzato dal vicepresidente della Commissione dovrebbe poggiare su variabili « ancorate alla spesa » o, con un aggiornamento ispirato alle riflessioni di Mario Draghi sui mezzi per riprendersi dalla crisi del Covid, al « debito buono » . E qui potrebbe trovare qualche spazio il lavoro sulla limited golden rule.
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