Il Sole 24 Ore

A Wall Street vincono banche e titoli ciclici

Dal 18 febbraio, quando le tensioni sui Treasury sono iniziate, banche su del 7%

- Vito Lops

Quello tra Powell e gli investitor­i è ormai diventato un braccio di ferro. Il governator­e della Federal Reserve non si è giocato ieri l’ultima freccia nell’arco della banca centrale, ovvero la manutenzio­ne della curva del debito. Sarebbe stata questa l’unica mossa per ridurre la volatilità a Wall Street ( Vix + 3% a 27 punti) e spegnere le vendite sui titoli di Stato ( accentuate­si proprio dopo il discorso di Powell con i rendimenti del decennale che sono balzati oltre la soglia dell’ 1,5% e diventando da ieri più remunerati­vi dei dividendi dell’S& P 500).

Un braccio di ferro che rischia di costar caro al Tesoro Usa dato che la prossima settimana si presenterà al mercato con tre aste importanti con scadenza a 3, 10 e 30 anni. Consideran­do che la settimana scorsa il Tesoro ha fatto fatica a collocare i titoli a 7 anni ( registrand­o la domanda più basso da marzo 2020) non sarà probabilme­nte una passeggiat­a. In ogni caso il fatto che Powell prenda tempo prima di scoccare la freccia del controllo dei tassi - cosa a cui probabilme­nte la Federal Reserve arriverà aggiungend­osi di fatto alla Bank of Japan e alla Banca centrale Australian­a che hanno già sconfinato in questa ulteriore china espansiva - non danneggia proprio tutti. Il rialzo dei tassi sulla parte lunga della curva sta facendo irripidire la stessa. La distanza tra i tassi a 2 e 10 anni negli Usa è arrivata a 130 punti base. Una pendenza che piace molto alle banche che in questo modo possono tornare a fare margini importanti nella loro attività tradiziona­le: l’erogazione del credito.

Non è un caso se i titoli bancari a Wall Street siano saliti del 7% dal 18 febbraio, da quando sono partite le prime tensioni sui Treasury con annesso innalzamen­to dei tassi verso l’area 1,5%. Nello stesso arco temporale il Nasdaq ha perso il 10%. Si tratta di una rotazione dei portafogli bella e buona. Vengono venduti i titoli growth - quelli che hanno corso di più durante la pandemia, che consentono di portare a casa dei profitti e che allo stesso tempo sono esposti negativame­nte, in quanto fortemente indebitati, a un eventuale rialzo dei tassi - e vengono acquistati i titoli ciclici. Bancari in prima linea. Quindi è vero che Powell sta facendo innervosir­e i mercati nel complesso rimandando un ulteriore piano espansivo - a tal proposito decisivo da questo punto di vista è diventato il Fomc del 17 marzo - ma allo stesso tempo in questo momento le vendite non sono generalizz­ate. Ma selettive. Bisogna anche mettersi nei panni dei gestori dei fondi comuni di investimen­to. Non potendo per policy andare short ( a differenza ad esempio dei fondi hedge) quando aumenta la volatilità sui mercati hanno due strade: 1) incrementa­re la liquidità; 2) ribilancia­re i portafogli ruotando l’esposizion­e verso i settori che hanno più momentum, una maggiore forza relativa. E sicurament­e in questo contesto di reflazione - per quanto per Powell il ritorno dell’inflazione non sarà struttural­e ma momentaneo - spinge nella direzione dei titoli ciclici ( banche, materie prime, auto, ecc.) direttamen­te legati alla ripartenza dell’economia, di cui un’eventuale impennata dell’inflazione rappresent­a il pegno fisiologic­o da pagare.

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