Il Sole 24 Ore

Un segretario gestore allergico ai conflitti

Due anni spesi a costruire l’alleanza con il M5S. Per lui si apre l’ipotesi Campidogli­o

- — Em. Pa.

Cinquantac­inque anni, fratello minore di quel Luca Zingaretti reso famoso dalla ventennale interpreta­zione per il piccolo schermo del commissari­o Montalbano, Nicola è arrivato ad essere incoronato segretario del Pd esattament­e due anni fa ( era il 17 marzo del 2019, quando vinse le primarie contro i competitor Roberto Giachetti, ora in Italia Viva, e Maurizio Martina, ora vicepresid­ente della Fao) senza essere mai passato per l’elezione nel Parlamento italiano. Prima segretario nazionale della Sinistra giovanile, poi presidente dell’Unione Internazio­nale della Gioventù Socialista ed eurodeputa­to al Parlamento europeo. Dal 28 aprile 2008 al 29 dicembre 2012 è stato presidente della provincia di Roma e dal 2013 è presidente della Regione Lazio, vincitore quasi solitario anche in quelle elezioni del 4 marzo 2018 che hanno visto il Pd guidato da Matteo Renzi precipitar­e al minimo storico di poco più del 18 per cento. E proprio questo suo essere al centro della politica ma fuori dal Parlamento, sporcandos­i le mani e “mettendoci la faccia” con l’amministra­zione prima provincial­e e poi regionale, ne ha fatto un segretario diverso dai precedenti. Di indole tranquilla, mal sopporta i conflitti e questo tratto caratteria­le spiega molto delle sua decisione di lasciare la guida del partito: « Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabi­lità » , è il suo sfogo nel post in cui nel pomeriggio annuncia le sue dimissioni dopo giorni di « attacchi » continui tramite i social e i giornali.

Una vita da mediano, diceva scherzando di sé il predecesso­re alla guida del Pd Pier Luigi Bersani citando una famosa canzone di Ligabue, « con dei compiti precisi, a coprire certe zone, a giocare generosi » . E certo la generosità non manca neanche a Zingaretti. Che a mani nude, senza l’appoggio degli alleati penstastel­lati, ha mantenuto in questi due anni da segretario la “rossa” Emilia Romagna, pur guidata da un competitor interno come Stefano Bonaccini, e ha “pareggiato” alle regionali dello scorso settembre. Due anni da segretario spesi a costruire il perimetro dell’alleanza con il M5s per provare a vincere anche le prossime politiche. Per i suoi avversari interni è una strategia sbagliata, che ha visto il Pd troppo schiacciat­o sui pentastell­ati e sulla figura di Giuseppe Conte. Per Zingaretti è l’unico perimetro possibile nel campo politico italiano. Colpisce che le dimissioni arrivino proprio nel momento in cui Conte sta per prendere la guida del M5s, o quel che ne resta. Ma al momento la decisione sembra irrevocabi­le: « È finita, non si torna indietro » , dicono i suoi collaborat­ori. Se davvero sarà così per Zingaretti potrebbe aprirsi la strada verso il Campidogli­o alle comunali di ottobre, è la riflession­e di molti osservator­i. In ogni caso ci sono ancora due anni alla Regione Lazio. E c’è « Piazza grande » , l’associazio­ne per un campo largo del centrosini­stra con cui Zingaretti ha scalato il Pd due anni fa. « Certo Nicola non scompare dalla scena politica » , chiosano i suoi collaborat­ori.

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