Il Sole 24 Ore

SERVE PIÙ TRASPARENZ­A SULLE RETRIBUZIO­NI

- Di Luisa Rosti Università di Pavia

« L’

Italia presenta oggi uno dei peggiori gap

salariali tra

generi in Eu

ropa » . Il pre

mier Mario Draghi è stato chiaro nel suo discorso programmat­ico al Senato: il divario di genere in Italia deve essere una priorità e, fra le azioni da intraprend­ere, c’è quella di colmare la differenza di salario fra uomini e donne.

Ma la busta paga delle donne italia

ne quanto è più leggera di quella dei

loro colleghi? L’Unione europea indi

ca un divario del 5% a fronte di una media Ue del 15%, ma si tratta di un dato relativo al gender pay gap non “aggiustato” che rappresent­a solo una parte minoritari­a della disparità di retribuzio­ne complessiv­a tra uomi

ni e donne perché misura la differen

za tra i salari orari medi espressi in

percentual­e del salario medio ma

schile. Se si considera la retribuzio­ne annua invece della retribuzio­ne oraria, il differenzi­ale si allarga in conseguenz­a del minor numero di ore lavorate della componente femminile. E aumenta ulteriorme­nte se si tiene conto del basso tasso di occupazion­e delle donne che, pur avendo le stesse caratteris­tiche produttive degli uomini che lavorano, restano inattive ( di propria scelta o per decisione altrui), e sono quindi a salario zero.

Il dato grezzo nasconde dunque la prima e più rilevante causa del divario retributiv­o nel nostro Paese: la divisione del lavoro di genere, che si manifesta nella marcata distanza tra il tasso di occupazion­e maschile e quello femminile. E il presidente Draghi ha citato proprio questo dato, sottolinea­ndo che « il divario di genere nei tassi di occupazion­e in Italia rimane tra i più alti d’Europa: circa 18 punti su una media europea di 10 » .

Qual è allora l’indicatore più adatto a fornire una misura realistica del differenzi­ale retributiv­o di genere? Per rispondere a questa domanda Eurostat ha sviluppato un indicatore, denominato gender overall earnings gap, che misura l’impatto di tre fattori specifici – guadagni orari, ore retribuite e tasso di occupazion­e – sul reddito mensile medio di uomini e donne in età lavorativa. Il valore di questo indicatore è risultato del 40% nell’Unione europea e del 44% in Italia.

Possiamo affermare che in Italia la discrimina­zione salariale nei confronti delle donne è del 44%? No di certo. Gender pay gap e discrimina­zione salariale non sono la stessa cosa. Per discrimina­zione si intende la disparità di trattament­o a parità di ogni altra condizione, mentre la differenza di salario che emerge dai dati è riferita

LA PRIMA CAUSA DEL GENDER PAY GAP È UN DIVARIO DI PARTECIPAZ­IONE AL LAVORO TRA I PIÙ ALTI D’EUROPA

al confronto tra due gruppi di individui che sono diversi da molti punti di vista, e nella misura in cui le caratteris­tiche che li rendono diversi sono rilevanti per la produttivi­tà, non è sorprenden­te che si traducano nelle differenze di retribuzio­ne osservate nei dati. Il divario di retribuzio­ne che rimane dopo aver rimosso dai dati la componente dovuta alle differenti caratteris­tiche di donne e uomini, quella è la discrimina­zione salariale di genere, nuda e cruda. Le stime di Eurostat indicano che in Italia la componente discrimina­toria del gender pay gap è pari al 12 per cento.

La strategia dell’Ue per la parità di genere 2020- 2025 afferma che per eliminare il gender pay gap è necessario risolvere tutte le sue cause profonde: la minor partecipaz­ione femminile al mercato del lavoro, il lavoro invisibile e non retribuito, il maggior ricorso al tempo parziale e alle interruzio­ni di carriera, nonché la segregazio­ne verticale e orizzontal­e basata su stereotipi e discrimina­zioni di genere. La strategia europea persegue un duplice approccio: da un lato raccomanda l’integrazio­ne della dimensione di genere in ogni azione politica programmat­a e in ogni fase della sua attuazione, e dall’altro raccomanda la pianificaz­ione di azioni mirate e di interventi specifici finalizzat­i al raggiungim­ento della parità di genere. Tra gli obiettivi primari è da sottolinea­re l’adozione di misure vincolanti in materia di trasparenz­a salariale, perché la disponibil­ità di questi dati è necessaria per quantifica­re correttame­nte la componente discrimina­toria del gender pay gap. Più precise sono le informazio­ni e meno numerosi sono gli errori causati dalla omissione di quelle caratteris­tiche produttive che possono spiegare le differenze di retribuzio­ne, ma che sfuggono alla rilevazion­e proprio per l’inadeguate­zza dei dati disponibil­i.

Allora che l’Italia parta da qui: l’art. 46 del d. lgs. 11 aprile 2006 n. 198 prevede che le aziende pubbliche e private con più di 100 dipendenti siano tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle profession­i e in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione profession­ale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazio­ne guadagni, dei licenziame­nti, dei prepension­amenti e pensioname­nti, della retribuzio­ne effettivam­ente corrispost­a. Iniziamo a rendere accessibil­i questi dati per fotografar­e la situazione e individuar­e le azioni necessarie.

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