Le imprese: esenzione dalla tassa rifiuti
Confindustria chiede l’applicazione integrale delle nuove regole Ue
Il decreto legislativo 116 che a settembre dello scorso anno ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva Ue sull’economia circolare ha voluto « escludere i rifiuti prodotti dalle attività industriali dall’ambito di applicazione della nozione di rifiuti urbani » . Questo indirizzo comunitario, reso esplicito anche dalla relazione governativa che ha accompagnato il decreto legislativo nel suo percorso di approvazione, cancella « ogni dubbio sul fatto che le imprese industriali, produttrici di rifiuti speciali non più assimilabili debbano essere escluse dalla Tari » , anche quella « destinata alla copertura del servizio comunale di gestione dei rifiuti urbani » . E questa certezza non può essere scalfita in via interpretativa.
Nel documento con le osservazioni inviato ai ministeri dell’Economia e della Transizione ecologica Confindustria contesta alla radice le parti più “flessibili” della bozza di circolare preparata per l’applicazione della nuova disciplina. Che nell’ottica degli industriali rischiano di annacquare un’altra volta gli indirizzi comunitari riaprendo gli spazi alle forme di doppia imposizione che la nuova normativa intendeva chiudere.
Nel quadro riformato dal decreto legislativo è cancellato il potere comunale di « assimilare » i rifiuti speciali ( prodotti dalle imprese) agli urbani ( quelli su cui si paga il servizio pubblico). Proprio su quel potere si è sviluppato negli anni un dedalo di regole locali che in molti casi ha imposto alle imprese di pagare la Tari anche sui rifiuti smaltiti in via autonoma ( pagando gli operatori privati).
Nell’applicazione delle nuove regole, allora, per le imprese deve essere chiara l’esclusione tout court dei rifiuti prodotti dalle attività industriali, che al contrario di quanto scritto nella bozza di circolare devono evitare anche la quota fissa, quella destinata a coprire i costi generali della pulizia delle strade: costi già pagati, sostiene il documento confindustriale, dalla Tasi che ora è incorporata nell’Imu.
Questa lettura contesta anche l’inclusione nella Tari dei locali diversi da quelli dedicati alla produzione, che non siano espressamente indicati nell’allegato L- quinquies in cui si elencano le attività che possono produrre rifiuti urbani. La prima conseguenza è il « no » alle ipotesi di tassazione dei magazzini non « funzionalmente collegati alle attività produttive di rifiuti speciali » . Il rischio, altrimenti, secondo le imprese è quello di tornare al vecchio caos.