Giustizia tributaria alla battaglia dei diritti acquisiti
L’articolo di Enrico De Mita sul Sole 24 Ore del 9 febbraio trova spunto dalla relazione del presidente della Suprema corte, alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. I dati evidenziano che il numero dei ricorsi tributari rappresenta il 50% delle pendenze in Cassazione, che nel 50% dei casi ( si tratta del 40/ 45%) riforma le sentenze delle commissioni tributarie. Questi dati determinerebbero l’implosione del processo tributario in Cassazione, davanti alla quale si svolgerebbe l’unico processo tributario di sola legittimità. È noto che i processi tributari che giungono in Cassazione sono circa il 4% di tutto il contenzioso tributario.
Il flusso annuale dei ricorsi in Cassazione si aggira intorno alle 9mila unità. Poiché quelli dinanzi a tutte le Commissioni provinciali rasenta il numero di 250mila, le sentenze che definiscono i due gradi di merito, non impugnate dalle parti perché condivise e applicate, sono circa il 96% di tutto il contenzioso. La ripartizione tra 1° e 2° grado è rispettivamente dell’ 80 e 20% circa. Non si dovrebbe affermare quindi che « l’appello sembra oggi una fase preliminare del giudizio di Cassazione » .
Ma torniamo in Cassazione. Dei circa 9mila ricorsi iscritti ogni anno, circa 4mila vengono riformati. È un dato patologico? È impensabile che ogni ricorso in Cassazione dovrebbe essere respinto.
Le oscillazioni giurisprudenziali stimolano il contenzioso. La proposta di creazione di una sezione specializzata, presso la Cassazione è stata disattesa.
Ancora De Mita afferma: la certezza del diritto non può essere un ideale debole. Ma questa riscontrata debolezza è riconducibile soltanto alla giurisdizione tributaria? Forse che quella ordinaria è governata da una granitica certezza?
Pendono in Parlamento progetti di riforma della giurisdizione tributaria. Se si vuole un giudice professionale a tempo pieno, superando l’attuale composizione delle commissioni tributarie fatta di diversi saperi e categorie professionali, lo si faccia, a condizione però che siano rispettati i diritti acquisiti di queste categorie, che hanno dedicato buona parte dell’attività migliorando la loro professionalità, anche con la frequenza a corsi universitari e di perfezionamento, organizzati dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.