Zingaretti conferma l’addio, i big al lavoro per la successione
L’ipotesi al momento più accreditata è l’elezione in assemblea della Pinotti In campo anche Fassino e Orlando, congresso non prima dell’autunno
« Ogni scelta va rispettata, ma credo che dimettersi sia una scelta sbagliata. La stima rimarrà sia se Nicola deciderà di rimanere segretario, come io spero, sia se confermerà le sue dimissioni. Il punto per me è questo: in tempo di pandemia il Pd non può parlare di se stesso. Non può perché stanno arrivando meno vaccini del previsto, mentre i contagi crescono più del previsto; perché abbiamo bambine e bambini, ragazze e ragazzi a casa da scuola e le famiglie in difficoltà; perché ci sono persone che perdono il lavoro e imprese che rischiano di non riaprire più » . Alla fine, dopo 24 ore, arriva anche l’invito a Zingaretti a ripensarci - dopo quello di tutto il Pd, minoranza di Base riformista compresa - da parte del “collega” governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. Ossia di colui che è considerato al momento il competitor più ” pesante” per la successione alla guida del Pd.
Anche lui preso alla sprovvista dalla decisione improvvisa di Zingaretti, anche lui consapevole come tutte le anime dem che un congresso subito - in piena emergenza sanitaria e prima delle importanti comunali di ottobre che riguarderanno le principali città italiane, a cominciare da Roma - è impensabile.
Ma la retromarcia da parte del segretario uscente, che ieri pomeriggio ha formalizzato le sue dimissioni con una lettera alla giovane presidente del partito Valentina Cuppi ( classe 1983, sindaca di Marzabotto), sembra proprio che non ci sarà. « Nei prossimi giorni andrò a rinnovare la tessera del Pd per il 2021, perché rimango convinto che sia la grande forza popolare che può garantire a questo Paese il buon governo e l’alternativa alle destre. Ma il tema di un mio ripensamento non c’è e non ci sarà » , ha chiarito Zingaretti. Ne prende atto la stessa presidente Cuppi, che gestirà il partito fino all’assemblea nazionale già convocata per il 13 e 14 marzo dal momento che le dimissioni del segretario comportano per statuto l’azzeramento della sua segreteria. « Ora serve una discussione franca e responsabile per scegliere il percorso in assemblea » , dice. Ricordando che in caso di dimissioni del segretario per statuto le strade di fronte al ” parlamentino” sono due: o indizione del congresso anticipato, e in questo caso sarebbe il presidente a gestire il partito fino alle primarie, oppure elezione del nuovo segretario direttamente in assemblea. Ed è questa la via a cui stanno lavorando i big del Pd: l’elezione di un segretario unitario con l’accordo politico che appena possibile, probabilmente subito dopo l’elezione del successore di Sergio Mattarella al Colle tra gennaio e febbraio 2022, si avvii il congresso anticipato rispetto alla scadenza del 2023.
Votato da tutte le correnti, con un profilo moderato, autorevole e di esperienza come richiede la fase difficile del Paese, pronto a “traghettare” senza poi scendere in campo. Un profilo che potrebbe corrispondere a quello di Roberta Pinotti: proveniente da Area dem, la “corrente” fondata da Dario Franceschini e Piero Fassino, nonché già ministra della Difesa nei governi Renzi e Gentiloni, Pinotti ha sostenuto Zingaretti due anni fa. In alternativa, si fa anche il nome di una padre fondatore del Pd come Fassino. Resta in campo anche l’ipotesi del vicesegretario uscente Andrea Orlando, come già accaduto nei casi di Franceschini dopo Walter Veltroni e di Maurizio Martina dopo Matteo Renzi. Tuttavia Orlando è appena stato nominato da Mario Draghi responsabile dell’impegnativo ministero del Lavoro e non è molto gradito alla minoranza. Piuttosto potrebbe riservarsi per scendere in campo come competitor di Bonaccini al prossimo congresso.