COSA C’ENTRA DRAGHI CON IL TERREMOTO NEL PD
Nessun ripensamento. Zingaretti assicura che il suo addio è per sempre e che non farà dietrofront in assemblea. C’è chi stenta a credergli – nel Pd e tra l’opinione pubblica - e forse non a torto visto che negli ultimi tempi i leader si sono rimangiati gli impegni facendo praticamente l’opposto di quanto promesso. Alla sua parola va comunque dato un valore e quindi, da ieri, ci si proietta nel nuovo scenario che si apre. Cosa viene dopo le dimissioni di un segretario? Una certa pratica il Pd ce l’ha visto che ci sono state schiere di dimissionari ma questa volta c’è un elemento di novità rispetto al passato.
Non è infatti la prima volta di una crisi profonda, sia in termini di consensi che di rapporti interni personali, ma adesso questo terremoto avviene mentre al Governo c’è Draghi, una figura che parla a una grande fetta di centro- sinistra e non solo perché ci sono ministri e sottosegretari Pd ma perché – stando ai sondaggi - gli elettori di area sono dalla parte dell’attuale premier. Al di là dell’obiettivo dei vaccini, la declinazione di un programma di crescita e sviluppo sostenibile è quello di cui dovrebbe appropriarsi il Pd a maggior ragione perché segue il filone europeista, dell’ecologia e dell’innovazione tecnologica. Un’agenda che è nelle corde di un mondo liberal e di sinistra molto più che di una destra che fa ancora fatica a staccarsi da temi come la sicurezza, l’immigrazione o il condono fiscale.
Nel suo discorso alle Camere, Draghi ha scelto una traiettoria precisa non solo dando l’aut aut ai fans dell’euroscetticismo ma respingendo l’idea di una flat tax, promuovendo una riforma fiscale progressiva, spingendo sugli investimenti pubblici e sull’istruzione nell’ottica di curare le disuguaglianze. In pratica quello che – più o meno da sempre – scrive il centro- sinistra nei programmi elettorali. Ma visto che Zingaretti lascia proprio adesso, ci si è chiesto se sia Draghi l’elemento destabilizzante. È questa la prima risposta del dopo- dimissioni e tutti i vari capi corrente dovrebbero dire una parola netta sul sostegno al Governo. Sarebbe utile per contrastare il gioco di Salvini che sta occupando ogni spazio libero, approfittando del caos nel Pd e 5 Stelle. Un tentativo con il quale il Capitano prova a sbilanciare verso la Lega un Esecutivo che non dovrebbe avere colori politici.
Dunque andrebbe innanzitutto spiegato che non è Draghi il “nemico” del Pd. E poi, servirà una strada diversa dal passato. Zingaretti ha accusato le correnti ma non era certo un mistero che esistessero, probabilmente lui stesso ne ha fatto parte, quindi non si può ricominciare come se niente fosse, con i dibattiti tra Orlando, Franceschini, Lotti o Guerini. Serve aprire le porte al contributo di esterni e mettere sangue nuovo. Ieri sono tornate le “sardine” ma ora, con la crisi Covid, c’è tutto un altro mondo da coinvolgere che ha interesse a difendersi e combattere.