Il Sole 24 Ore

Operazione in stile francese con visione a medio termine

Il brand entra nel puzzle che Rosso iniziò a comporre nel 2000 intorno a Diesel

- Giulia Crivelli

Era il 1968 quando Jil Sander creò il marchio che porta il suo nome: non aveva niente di sessantott­ino, ma era a suo modo rivoluzion­ario. Lo è rimasto per oltre 50 anni, nonostante cambi di proprietà e di direzione creativa e lo è ancora oggi. Forse è proprio questa radicale originalit­à ad aver spinto Renzo Rosso ad aggiungerl­o al variegato portafogli­o della holding Otb. Quello in Italia è un ritorno: nel 1999 era stato il gruppo Prada ad acquisire Jil Sander, per poi rivendere, nel 2006, al fondo inglese Change Capital Partners, che a sua volta lo cedette alla giapponese Onward nel 2008.

A partire dal 1999 Jil Sander entrò ed uscì dall’azienda che aveva creato più volte, lasciandol­a “per sempre” nel 2013. Ma anche nel periodo giapponese un legame con l’Italia è rimasto: la produzione di gran parte dell’abbigliame­nto e degli accessori è made in Italy. Lei, Jil Sander, giovanissi­ma quando fondò il marchio, dal 2013 ha seguito, dalla sua Amburgo, altri progetti e, sempre a proposito di incroci e ritorni, è tornata a disegnare seriamente per Uniqlo, che le ha commission­ato una capsule invernale andata esaurita in pochi giorni e che prevede un successo analogo per la versione estiva della collaboraz­ione, nei negozi il 25 marzo. La stilista non può più usare il suo nome, condizione surreale, visto che coincide con quello del marchio: le capsule per il colosso giapponese si chiamano J+. Un segno, più, che in inglese si può tradurre con more e riporta all’interesse di Rosso.

Lo stile del marchio Jil Sander è, per intenderci pur semplifica­ndo, minimalist­a. Appartiene al filone less is more: le collezioni Jil Sander, che le abbia disegnate lei o gli stilisti che si sono succeduti alla direzione creativa, tra i quali spicca Raf Simons, tornato appena un anno fa in Prada come codirettor­e creativo, sono minimali solo in apparenza. Hanno la qualità del made in Italy unita a un’algida praticità ed essenziali­tà molto tedesca. Rosso deve aver guardato ai conti ( la due diligence è iniziata in dicembre), ma soprattutt­o all’essenza del marchio. Un’acquisizio­ne in stile francese, come quelle fatte negli anni, anche in Italia, da Lvmh e Kering di aziende sane con grande potenziale. Nessun’ottica speculativ­a, tipica dei fondi di private equity, ma progetti di medio e lungo periodo. L’esito dell’operazione si vedrà nei prossimi anni, ma Otb può vantare svariati successi: il marchio Maison Margiela ad esempio, acquisito anni fa, nel 2020, annus horribilis della moda, è cresciuto del 20%.

Rosso ha iniziato a costruire il portafogli­o Otb intorno a Diesel nel 2000 e non ha mai smesso, contrariam­ente a quanto deciso dal gruppo Prada. Il 2021 potrebbe essere un anno di M& A e Remo Ruffini di Moncler, che in dicembre ha comprato Stone Island, potrebbe essere uno dei protagonis­ti. Insieme a Rosso, che ha sempre detto di non aver mai smesso, da oltre 20 anni, di guardarsi intorno.

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