Il coraggio di parlare a tutti e farsi voce di tutti gli iracheni
Èun atto coraggioso, ispirato alla pacifica convivenza tra diverse fedi in una terra da troppo tempo dilaniata dalle violenze interconfessionali. Il viaggio in Iraq di Papa Francesco ha senz’altro una valenza religiosa e umana. Ma non soltanto. Ha anche un significato politico. Al di là del richiamo alle cessazione delle violenze, è come se già prima di partire Francesco avesse lanciato un appello accorato all’unità in un Paese dove le divisioni si sono lasciate dietro un passato di sangue. Non è esagerato scorgervi anche un richiamo al rispetto del multilateralismo in un angolo del mondo in cui blocchi antagonisti hanno usato le armi per la risoluzione dei loro conflitti.
O noi. O loro. La polarizzazione portata avanti con forza dall’ex presidente Donald Trump, e dai leader dei Paesi con cui la Casa
Bianca aveva forgiato un’alleanza intrecciata di interessi economici e geopolitici, aveva fatto proprio dell’Iraq il terreno di scontro tra gli Stati Uniti e Iran, la potenza sciita del Medio Oriente. Certo, Teheran godeva, e gode tutt’ora, di un rapporto privilegiato con Baghdad. Rafforzatosi dopo la caduta di Saddam Hussein, nel 2003, e la conseguente ascesa al potere della confessione sciita, maggioranza del Paese repressa da Saddam.
Ebbene, il viaggio di Papa Bergoglio rappresenta un secco rifiuto di questa ideologia. Lui stesso, in diverse occasioni, si è speso di persona per promuovere il multilateralismo. Come nel 2015, quando durante la sua visita al quartiere generale delle Nazioni Unite, toccò proprio questo tasto: « Non mancano gravi prove delle conseguenze negative di interventi politici e militari non coordinati tra i membri della comunità internazionale » , aveva ammonito.
Forse in quell’occasione voleva suggerirci anche il caso dell’Iraq, di quella guerra decisa da George W. Bush per trovare armi di distruzione di massa che non furono mai trovate. Una guerra seguita da un conflitto civile e interconfessionale caratterizzato da una violenza devastante.
Come ha evidenziato tre giorni fa il cardinal Luis Raphael Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei , « Il Papa non viene a difendere e proteggere i cristiani. Il Papa non è il capo di un esercito » . « Il Papa - ha poi aggiunto - non viene ad alimentare il settarismo, come fanno altri. Viene per tutti gli iracheni, non solo per i cristiani » .
È vero. In Iraq Francesco fa l’esatto contrario di chi arriva per difendere la sua causa. Papa Bergoglio dialoga con le autorità sunnite, come quando aveva firmato nel 2019, ad Abu Dhabi, il patto di fratellanza tra cristianesimo e Islam con il grande imam sunnita di al- Azahr, Ahamad al- Tayyib. E fa altrettanto con gli sciiti. Dopo aver incontrato nel 2016 in Vaticano il presidente iraniano, il clerico moderato Hassan Rouhani, domani si recherà a Najaf, città Santa del mondo sciita, per incontrare l’ayatollah Ali al- Sistani, massima autorità sciita dell’Iraq. Non mancherà poi di vedere le autorità curde, a Erbil, e naturalmente i cristiani, a Mosul, Baghdad, anche a Qaraqosh, la città irachena che ospitava la più grande comunità cristiana del Paese . Distrutta, nell’estate del 2014, dalla violenza cieca dell’Isis, come altri centri della Piana di Ninive.
Esponendosi di persona in un Paese dove il terrorismo fondamentalista trova ancora terreno fertile, Papa Francesco si fa dunque portavoce di un nuovo multilateralismo. A 360 gradi. Che guarda al mondo per unire. E non dividere.