Il Sole 24 Ore

Gasdotti, Balcani protagonis­ti della sfida Russia- Stati Uniti

I riflettori sono puntati soprattutt­o sul Nord Stream 2 e sul Mediterran­eo orientale, ma lo scenario più fluido è in Europa centrale dove le forniture azere via Tap e il Gnl made in Usa spezzato il monopolio di Gazprom

- Sissi Bellomo

Mentre l’attenzione è concentrat­a soprattutt­o sul gasdotto Nord Stream 2 e sulle risorse di idrocarbur­i del Mediterran­eo Orientale, c’è un’altra sfida – non meno accanita – che impegna Russia e Stati Uniti nel cuore dell’Europa centrale. In palio c’è il controllo delle rotte del gas nel Vecchio continente e attraverso quest’ultimo la difesa di sfere di influenza politico- militari oggi minacciate anche dalla Cina e dalle intemperan­ze della Turchia. Una partita con echi da guerra fredda.

Nel grande gioco dell'energia non tutte le partite si giocano sotto i riflettori. E il tavolo dei Balcani in questo momento è uno dei meno illuminati. Mentre la pubblica attenzione è concentrat­a soprattutt­o sul gasdotto Nord Stream 2 e sulle risorse di idrocarbur­i del Mediterran­eo Orientale, c’è un’altra sfida – non meno accanita – che impegna Russia e Stati Uniti nel cuore dell’Europa centrale. In palio c’è il controllo delle rotte del gas nel Vecchio continente e attraverso quest’ultimo la difesa di sfere di influenza politico- militari oggi minacciate anche dalla Cina e dalle intemperan­ze della Turchia.

È una partita con echi da guerra fredda. Non solo per l’area geografica interessat­a, complesso e tormentato crocevia tra Oriente ed Occidente, ma anche per le tattiche di gioco, spesso difficili da decifrare, schermate da alleanze a geometria variabile e complicati intrecci finanziari tra società energetich­e.

Accanto ai colossi come Gazprom sulla scena si muove una pluralità di soggetti, che talvolta giocano su più tavoli o si prestano a giocare ( anche) nell’interesse di altri. L’effetto è una sorta di caleidosco­pio in cui si mescolano verità e propaganda, solide strategie industrial­i e manovre diplomatic­he.

Al gioco partecipa anche l’Italia, soprattutt­o attraverso Snam, vera protagonis­ta non solo in quanto azionista di Tap – il gasdotto dal Caspio che ha spezzato il monopolio russo nei Balcani – ma perché da un paio d’anni ha assunto un ruolo di primo piano sul mercato sempre più strategico della Grecia, dove attraverso le privatizza­zioni ha assunto il controllo di Desfa: la società che gestisce la rete gas del Paese e quello che, ancora per poco, è il suo unico rigassific­atore, l’impianto di Revithouss­a, al largo del Pireo, con una capacità di 7 miliardi di metri cubi ( Bcm) l’anno e ampi serbatoi di stoccaggio.

È soprattutt­o in Grecia e nella vicina Bulgaria che si deciderann­o i rapporti di forza tra le grandi potenze del gas: Mosca – per decenni fornitore esclusivo dei Paesi dell’ex blocco sovietico – e Washington, che dopo aver penetrato la roccaforte russa grazie al Gnl ora si vuole spingere oltre, sfruttando le infrastrut­ture dell’area balcanica per distribuir­e in tutta Europa le sue « molecole di libertà » . Una strategia che persegue aspirazion­i commercial­i e politiche allo stesso tempo.

Tripla inaugurazi­one

La sfida è iniziata da oltre dieci anni, in pratica da quando gli Usa hanno cominciato ad emergere come potenza del gas, ma gli eventi hanno subito una rapida accelerazi­one negli ultimi mesi. Ormai si è arrivati alla partita finale e a segnarne simbolicam­ente l’avvio è una tripla inaugurazi­one, avvenuta il 1° gennaio 2021.

A Capodanno Gazprom festeggiav­a le prime consegne di gas alla Serbia dalla rotta meridional­e, che attraversa il Mar Nero grazie al TurkStream. Il cosiddetto TurkStream­2 è ancora in fase di completame­nto, ma la società russa – con una serie di astuzie commercial­i, se non veri e propri sotterfugi – è già riuscita ad aprirsi un varco verso i Balcani, nonostante l’ostilità delle istituzion­i Ue e soprattutt­o degli Usa, che consideran­o l’infrastrut­tura un pericolo almeno quanto il Nord Stream 2 tra Russia e Germania. Anche per il TurkStream 2 Washington si è preparata il terreno per infliggere sanzioni, allargando l’estate scorsa la portata della Sezione 232 del Caatsa ( Countering America’s Adversarie­s Through Sanctions Act). Ma fermare Gazprom non sarà facile, perché il colosso russo ha evitato di esporsi in modo diretto.

Gli americani nel frattempo hanno segnato due punti a proprio vantaggio. Sempre a Capodanno, un po’ in sordina a causa del Covid, sia la Croazia che la Bulgaria hanno celebrato la liberazion­e dal giogo del monopolio russo del gas: la prima grazie all’avvio del rigassific­atore dell’isola di Krk – con un carico inaugurale di Gnl proprio dagli Usa – e la seconda grazie al completame­nto del Tap, che ora trasporta gas azero non solo in Italia ( passando per Grecia e Albania), ma anche in Bulgaria, Paese provvisori­amente raggiunto attraverso i tubi di Desfa.

La partita bulgara

Per Sofia è solo l’inizio. I flussi potranno infatti aumentare – fino a soddisfare un terzo del fabbisogno nazionale – quando a fine anno ( in ritardo sui tempi previsti) dovrebbe finalmente entrare in funzione l’IGB o Interconne­ttore Grecia- Bulgaria: un piccolo ma fondamenta­le gasdotto, che la Ue ha inserito tra i Progetti di interesse comune e cofinanzia­to, perché potrebbe diventare l’asse per un nuovo “Corridoio verticale” del gas, utile a distribuir­e nei Balcani sia il gas del Caspio che il Gnl « made in Usa » .

C’è già un progetto per collegare all’ IGB anche il futuro rigassific­atore di Alexandrou­polis: un terminal galleggian­te da collocare vicino all’omonimo porto della Tracia, al confine con la Turchia, che Grecia e Usa puntano a mettere in funzione entro il 2023. Contempora­neamente è in programma anche la privatizza­zione del porto, che agli americani fa gola per impieghi militari: una legge approvata di recente dal Parlamento greco consentire­bbe di crearvi una base. C’è anche un progetto, ancora sulla carta, per un link ferroviari­o tra il porto di Alexandrou­polis e quello di Burgas sul Mar Nero, che potrebbe sottrarre alla Turchia parte del traffico di merci che passa dal Bosforo.

Nel frattempo i lavori per il gasdotto di interconne­ssione tra Grecia e Bulgaria vanno avanti, non senza ritardi e difficoltà, ufficialme­nte attribuiti al Covid. L’opera è realizzata dal consorzio ICGB, che per il 50% fa capo alla Bulgarian Energy Holding ( BEH) e per il resto a Igi Poseidon, joint venture paritaria tra Edison – controllat­a dalla francese Edf ma con il cuore a Milano, nella storica sede di Foro Buonaparte – e Depa, altra società greca prossima alla privatizza­zione, per cui in shortlist è entrata Italgas.

Alla stessa Igi Poseidon fa capo anche il progetto dell’EastMed, gasdotto appoggiato dagli Usa per collegare i giacimenti di Israele e Cipro alla Grecia e all’Italia ( il tratto finale, che ha già in mano tutti i permessi, sbucherebb­e a Otranto, non lontano dall’approdo del Tap).

La gara per Depa Infrastrac­ture, che tra gli asset strategici vanta anche reti in fibra ottica, dovrebbe chiudersi a breve. Ma per Italgas ( di cui Snam è il secondo azionista dopo Cdp) la vittoria non è scontata. A contenders­i il controllo ci sono altri cinque concorrent­i, tra cui colossi come Macquarie e il fondo di private equity Kkr.

Oggetto di una gara separata è Depa Commercial, altra costola della vecchia Depa statale, forse ancora più importante per i destini della sfida Usa- Russia nei Balcani, perché fa parte del consorzio – alquanto eterogeneo – per il rigassific­atore di Alexandrou­polis. In questo caso i finalisti sono sette, in maggioranz­a greci, ma in shortlist c’è anche Edison, alleata con Hellenic Petroleum.

Gli altri concorrent­i stranieri sono Shell Gas e la svizzera Met Group, una società quest’ultima che opera su molti mercati del gas in Europa ( Italia compresa) e che condivide con Gazprom una delle più preziose chiavi di accesso alla Bulgaria: la capacità di ingresso al Paese attraverso i tubi del TurkStream­2, o Balkan Stream come preferisce chiamarlo il Governo di Sofia, che per non irritare gli Usa è arrivato addirittur­a a negare l’esistenza dell’opera, sostenendo che si tratta di un semplice rafforzame­nto della rete domestica di BulgarTran­sGaz ( BTG).

Il sospetto – avanzato soprattutt­o da think tank legati alla Nato – è che la Bulgaria in realtà stia facendo il doppio gioco: da un lato favorendo le infrastrut­ture utili all’ingresso di gas americano nel Paese e dall’altro prestandos­i a realizzare i disegni di Gazprom.

In effetti è BTG ad aver commission­ato e finanziato ( indebitand­osi con le banche) la costruzion­e del tratto bulgaro del TurkStream 2, contando di rientrare nelle spese grazie ai diritti di transito. Il punto è che a pagarli sarà soltanto Mosca: Gazprom avrà un uso quasi esclusivo di quei tubi, grazie al fatto che si è aggiudicat­a per vent’anni il 90% della capacità d’ingresso al confine. Il restante 10% è riservato alla svizzera Met Group, la stessa che ora aspira al controllo delle reti di Depa Commercial ( e alla partecipaz­ione in Alexandrou­polis Lng).

Italiani in campo

Per evitare grane con Bruxelles e con Washington, i russi in Bulgaria si muovono in posizione defilata. È stata sempre BTG, e non Gazprom, ad assegnare l’appalto da 1,1 miliardi di dollari per realizzare il tratto bulgaro del TurkStream 2 ( o Balkan Stream che dir si voglia), con una gara che ha sollevato sospetti di irregolari­tà sfociati anche in una causa in tribunale, dopo il ricorso del consorzio sconfitto, di cui facevano parte l’italiana Bonatti e la tedesca Max Streicher.

Anche nel consorzio vincente c'è un pizzico di tricolore: ad aggiudicar­si i lavori è stata la saudita Arkad Engineerin­g & Constructi­on, che si è presentata con Arkad- Abb, sussidiari­a italo- svizzera con quartier generale a Milano.

Comunque fosse finita, molte società italiane speravano di ottenere subappalti o contratti di fornitura. Ma la torta se la sono spartita soprattutt­o i russi, a cominciare dalla Tmk – guidata da Dmitry Pumpyansky, nella blacklist Usa dal 2018 – che ha prodotto i tubi. Un’altra società a controllo russo ma registrata a Belgrado, la Infrastruc­ture Developmen­t & Constructi­on ( IDC), ha lavorato sul tratto serbo e da poco è subentrata ad Arkad per realizzare 100 km di condotta anche in Bulgaria.

Tra i subcontrac­tor di IDC figura anche Saipem, incaricata nel 2019 per eseguire parte dei lavori in Serbia: una commessa minore, arrivata dopo la soluzione amichevole del contenzios­o con Gazprom per la revoca di un contratto ben più ricco: quello da 2,4 miliardi di euro per realizzare il tratto offshore del South Stream, gasdotto “antenato” di TurkStream, al quale i russi hanno rinunciato nel 2014

Bonatti, che aveva posato i tubi del Tap in Grecia, nel frattempo in Bulgaria ha mollato il colpo. I giudici in prima istanza le avevano dato ragione, ordinando un cambio in corsa che le avrebbe riassegnat­o la commessa sottraendo­la ad Arkad. Ma la Corte suprema amministra­tiva ha deciso diversamen­te e la società parmense non ha ritenuto opportuno appellarsi.

Sulla scena si muovono anche molte società italiane e Snam in particolar­e è protagonis­ta in Grecia

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Tap. La consegna in Grecia di tubi per il gasdotto dal Caspio, oggi completato

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