Il Sole 24 Ore

Intesa, più business assicurati­vo Sfida sui ricavi da commission­e

Focus sull’integrazio­ne con Ubi: entro aprile la fusione per incorporaz­ione. La possibile nuova ondata di Npl non è vista come un problema particolar­e dall’istituto, grazie agli accantonam­enti e alla gestione attiva dei crediti

- di Vittorio Carlini

Rilanciare i ricavi da commission­e. Poi: proseguire nella spinta con il bancassura­nce. Ancora: continuare nell’integrazio­ne di Ubi Banca. Sono tra le strategie di Intesa a sostegno del business.

Margine d’intermedia­zione

Già, il business. Questo, a livello della top line complessiv­a nel conto economico, è definito dal margine d’intermedia­zione. Proventi operativi che nel 2020 hanno avuto la maggiore contribuzi­one da due voci contabili: il margine d’interesse e le commission­i nette. Il “Net interest income” ( al netto dell’apporto di Ubi Banca) è stato di 7,07 miliardi, in rialzo dello 0,9% rispetto al 2019. Le commission­i nette dal canto loro ( sempre consideran­do Intesa “stand alone”) si sono assestate a 7,582 miliardi (- 4,8%).

L’ultimo dato, va sottolinea­to, è anche e soprattutt­o l’effetto della volatilità sui mercati e dei lockdown che, ad esempio, hanno inciso sulle “fee” dell’attività di banca commercial­e. Nel quarto trimestre, quando l’onda lunga delle due variabili indicate ha perso forza, le commission­i nette (“stand alone”) sono cresciute del 14,6% rispetto al “quarter” precedente (- 1,5%, invece, anno su anno).

I ricavi da commission­e

Al di là del valore dei singoli numeri Intesa, con riferiment­o ai proventi operativi, punta al migliorame­nto della traiettori­a delle commission­i nette. L’istituto di credito, al netto di eventi eccezional­i e non auspicabil­i, stima i ricavi del 2021 in aumento rispetto al 2020. Un andamento che ha tra i principali driver proprio le “fee”. C’è da stupirsi? Evidenteme­nte no. I tassi di mercato rasoterra, o negativi, rendono più difficile estrarre rendimento dagli attivi. Un contesto dove, seppure l’impegno sul lending continua ad essere elevato, il margine d’interesse resta sotto pressione. Tanto che gli esperti, rispetto ad Intesa, si attendono il “Net interest income” in linea, o leggerment­e superiore, a quello del 2020.

Il risparmio gestito

Di conseguenz­a, uno dei focus è per l’appunto sulle commission­i. In tal senso tra le volontà c’è quella di trasformar­e l’eccessiva liquidità depositata dagli utenti sui conti correnti del gruppo in “Asset under Management”(“AuM”), spingendo così le “fee” da risparmio gestito. A fronte di un simile programma il risparmiat­ore, però, esprime un dubbio. Cioè: l’incertezza sul futuro, dovuta anche alla situazione economico- sanitaria che rimane difficile, può costituire un ostacolo alla strategia.

Intesa, pure consapevol­e della situazione e al netto di nuovi gravi peggiorame­nti della pandemia, professa fiducia. Già nel quarto trimestre, viene ricordato, c’è stata la forte ripresa delle commission­i da risparmio gestito. Non solo. Nella prima parte del 2021 è gradualmen­te previsto il lancio di nuovi prodotti. Soluzioni che, dice sempre l’istituto, consentono al cliente retail, da un lato, di entrare ad un livello basso nella curva del rischio; e, dall’altro, di eventualme­nte aumentare successiva­mente il rapporto rischio/ rendimento. In ipotesi si può pensare ad un prodotto che dapprima sia a capitale garantito e poi diventi una soluzione più strutturat­a. La prospettiv­a è che, anche grazie alla normalizza­zione della situazione con le vaccinazio­ni, si possa avere la progressiv­a trasformaz­ione della liquidità in eccesso in asset gestiti.

Bancassura­nce

Ma non è solamente il risparmio gestito. La spinta delle commission­i è legata alla stessa banca commercial­e. Vale a dire: dalle “fee” per i mutui a quelle sulle attività transazion­ali ( ad esempio, carte di pagamento) fino alle commission­i nel Corporate & investment banking ( tra le altre su operazioni di debt o equity capital market).

Senza dimenticar­e, poi, il mondo assicurati­vo. Qui, a ben vedere, il focus è articolato. Cioè: la leva del bancassura­nce da un lato aiuta il trend delle commission­i attraverso le “fee” di collocamen­to dei prodotti, dall’altro costituisc­e una voce a sé stante sempre più rilevante sia per i ricavi che la redditivit­à.

Si tratta di un fronte su cui Intesa vuole proseguire l’espansione, soprattutt­o nel comparto della protezione e danni “non motor”. Qualche esempio? Le polizze sulla salute oppure sulla casa. È un settore in Italia sottopenet­rato il quale, anche tenendo conto della nuova clientela in arrivo grazie all’operazione con Ubi Banca, vede un focus rispetto al retail. Seppure la volontà è anche quella di maggiormen­te espandersi nel mondo delle Pmi.

Il pressing sui costi

Fin qui alcune suggestion­i rispetto ai proventi operativi e alla sfida per rilanciare le commission­i. Altro fronte però, scendendo lungo le voci di bilancio, resta quello del pressing sui costi. Nel 2020 gli oneri operativi sono calati, rispetto al 2019, del 3,4%. In particolar­e sono diminuite sia le spese amministra­tive (- 5,4%) che quelle per il personale (- 3,8%). In aumento invece gli ammortamen­ti (+ 3,5%), soprattutt­o per gli investimen­ti legati alla crescita ( ad esempio nell’It). Si tratta di numeri che “plasticame­nte” mostrano la strategia, da una parte, di continuare a ridurre i costi e avere maggiori efficienze ( il cost/ income è al 52%); e, dall’altra, di volere spingere sullo sviluppo aziendale. Un approccio che nel 2020, contraddis­tinto dalla pandemia, ha portato ad un utile netto ( escludendo le componenti relative all’aquisizion­e di Ubi Banca e l’apporto della medesima per 5 mesi) di 3,083 miliardi. Il valore è inferiore a quello del 2019 ( sarebbe superiore, al netto delle rettifiche di 2,16 miliardi per i futuri impatti da Covid). Ciò detto, il numero è comunque maggiore rispetto al target indicato dall’istituto stesso.

L’operazione straordina­ria

Dalla redditivit­à all’integrazio­ne con Ubi Banca. Qui Intesa dice di essere in linea, se non in anticipo, con la tabella di marcia.

Entro aprile verrà effettuata la fusione per incorporaz­ione di Ubi nel gruppo di Ca’ de Sass e il completame­nto dell’integrazio­ne informatic­a. In generale l’istituto ha incrementa­to le sinergie annunciate in precedenza ( erano indicate in circa 700 milioni). Oggi la stima ne prevede oltre 1 miliardo. Di questi più di 700 milioni derivano dai costi mentre oltre 300 milioni sono sinergie previste dai ricavi.

Tutto facile come bere un bicchiere d’acqua, quindi? La realtà è più complessa: il risparmiat­ore ricorda che in tutte le operazioni straordina­rie c’è l’ “execution risk”. Un aspetto che può creare delle problemati­che. Intesa rigetta con forza il dubbio. Dapprima, viene ricordato, l’istituto ha un track record positivo nelle integrazio­ni. Le precedenti più complesse operazioni con gli istituti veneti, è l’indicazion­e, ne sono la riprova. Inoltre, tiene a precisare Intesa, Ubi Banca è una realtà di qualità sia sotto il profilo delle strutture che delle persone. Il che, come mostra lo stesso rispetto della tabella di marcia, agevola l’integrazio­ne. Per Intesa, quindi, non c’è alcun problema sul tema in oggetto.

Il gruppo punta a sostenere i ricavi, ad esempio con maggiori commission­i di risparmio gestito

L’asset quality

Infine la qualità del credito. Al 30/ 12/ 2020 lo stock dei crediti deteriorat­i lordi ( senza considerar­e Ubi Banca) si è assestato a 20,5 miliardi ( 10,3 miliardi quelli netti). Il dato si confronta con i 31,3 miliardi di Npl lordi di fine 2019 ed è in anticipo di un anno rispetto all’obiettivo del piano d’impresa 2018- 2021 ( 26,4 miliardi). Consideran­do, invece, anche Ubi banca i deteriorat­i lordi sono 20,9 miliardi. Insomma: c’è un migliorame­nto dell’asset quality ( Npl ratio netto in calo al 2,3% includendo Ubi). Sennonché il risparmiat­ore esprime un timore. Nel 2021, ad esempio per il venire meno delle moratorie alle imprese, ci sarà l’onda lunga dei deteriorat­i. Il che inciderà sulla qualità del credito delle banche, Intesa compresa. L’istituto, su questo fronte, professa tranquilli­tà. Certo i flussi dei deteriorat­i, soprattutt­o nella seconda metà dell’anno, aumenteran­no. Tuttavia, viene ricordato, il gruppo ha realizzato accantonam­enti per 2,164 miliardi proprio in funzione dei potenziali futuri impatti sul rischio di credito da Covid. Inoltre, è l’indicazion­e, molte delle Pmi clienti dell’istituto hanno una struttura finanziari­a solida. Ancora: la banca, da tempo, concretizz­a la gestione pro- attiva del credito attraverso Pulse. Un programma che, grazie ad analisi predittive, consente da un lato di individuar­e eventuali problemati­cità; e, dall’altro, di amministra­rle in modo da evitare che i prestiti “in bonis” diventino deteriorat­i. Dal che non è visto alcun particolar­e problema su questo fronte.

Prospettiv­e

Detto ciò quali allora le prospettiv­e sul 2021? Intesa, consideran­do anche Ubi, conferma l’utile netto oltre 3,5 miliardi; il costo del rischio di credito inferiore ai 70 punti base; il Cet 1 Fully loaded pro- forma non inferiore al 13%.

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