Il Sole 24 Ore

Nuovo contratto, super stipendi a P alazzo Chigi

Voci fisse superiori del 60% rispetto ai ministeri, ma tre sindacati dicono no

- Gianni Trovati

La gerarchia è un concetto serio, e le regole vanno rispettate. Anche quella che fa crescere gli stipendi dei dipendenti pubblici man mano che ci si avvicina al cuore dell’amministra­zione. Un impiegato comunale non può guadagnare come un ministeria­le, che a sua volta non può avvicinars­i alle buste paga di Palazzo Chigi.

Anche l’ultimo schema di contratto nazionale della presidenza del Consiglio segue questa linea. Con uno zelo intenso. Ma giudicato insufficie­nte dai palati più fini.

Dopo mesi di trattative, la proposta poggia su due colonne. La prima è un aumento medio da quasi 126 euro per ciascuna delle 13 mensilità, oltre il 40% in più di quanto previsto nella media degli altri comparti, in larga parte concentrat­o fra tabellare ( 83 euro), indennità di presidenza ( 10 euro) e fondo per la contrattaz­ione integrativ­a ( 27 euro). Fin qui però non c’è da sorprender­si: i contratti nazionali spalmano in modo proporzion­ale le risorse, e quando lo stipendio di base è più alto gli aumenti valgono di più.

Il contratto però non si ferma qui. Con una seconda mossa sposta un pacchetto da 457 euro al mese dalle voci accessorie al tabellare, la base inscalfibi­le della busta paga pubblica. In questo modo, i soldi non solo vengono messi sotto chiave, al riparo dai rischi ( molto eventuali) di tagli per valutazion­i negative o altre sanzioni, ma pesano anche di più sul Tfr e sulla pensione.

Può bastare? La domanda è lacerante. E infatti ha spaccato le otto sigle sindacali che rappresent­ano i 1.685 dipendenti ( non dirigenti) di Palazzo Chigi, microcosmo sopravviss­uto alla riforma di Renato Brunetta che nel suo precedente passaggio alla Funzione pubblica aveva rivoluzion­ato la geografia del pubblico impiego riunendo gli oltre tre milioni di dipendenti pubblici in quattro comparti da centinaia di migliaia di dipendenti ciascuno. Ma nemmeno lui era riuscito a mettere in discussion­e la monade della presidenza.

Qualche settimana fa l’Aran ha concluso le trattative raccoglien­do le adesioni. E a quel punto ci si è messa anche la matematica a complicare il quadro. Perché il « sì » è arrivato da cinque sigle, che rappresent­ano nel complesso il 50,02% dei dipendenti.

Ma le regole, che si disinteres­sano della seconda cifra dopo la virgola, per il via libera chiedono l’adesione del 50,1%.

Di qui lo stallo, che sta cominciand­o a indispetti­re qualche dipendente, ansioso di ricevere i 5.400 euro medi di arretrati ( il contratto in discussion­e è l’ultimo tassello mancante ai rinnovi relativi al 2016/ 18) e soprattutt­o di leggere nel proprio cedolino le cifre del nuovo regime. Cifre che portano gli stipendi base di Palazzo Chigi, escluse tutte le componenti accessorie, a superare del 58% quelli dei ministeri, volando oltre quota 41.900 euro medi contro i 26.500 euro che si incontrano negli altri palazzi del governo. Ad allargare la forbice nella media ponderata interviene anche l’affollamen­to negli scalini più alti della gerarchia, che a Palazzo Chigi è maggiore rispetto ai ministeri. I funzionari in cima alla scala arriverebb­ero a una retribuzio­ne fissa da 57.600 euro all’anno: valori che nei ministeri si incontrano solo fra i dirigenti, e che a Palazzo Chigi sono appesi al « no » di tre sigle sindacali. Per ora.

La retribuzio­ne di base ( escluse le voci accessorie) arriverebb­e fino a 57.600 euro all’anno

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