Nuovo contratto, super stipendi a P alazzo Chigi
Voci fisse superiori del 60% rispetto ai ministeri, ma tre sindacati dicono no
La gerarchia è un concetto serio, e le regole vanno rispettate. Anche quella che fa crescere gli stipendi dei dipendenti pubblici man mano che ci si avvicina al cuore dell’amministrazione. Un impiegato comunale non può guadagnare come un ministeriale, che a sua volta non può avvicinarsi alle buste paga di Palazzo Chigi.
Anche l’ultimo schema di contratto nazionale della presidenza del Consiglio segue questa linea. Con uno zelo intenso. Ma giudicato insufficiente dai palati più fini.
Dopo mesi di trattative, la proposta poggia su due colonne. La prima è un aumento medio da quasi 126 euro per ciascuna delle 13 mensilità, oltre il 40% in più di quanto previsto nella media degli altri comparti, in larga parte concentrato fra tabellare ( 83 euro), indennità di presidenza ( 10 euro) e fondo per la contrattazione integrativa ( 27 euro). Fin qui però non c’è da sorprendersi: i contratti nazionali spalmano in modo proporzionale le risorse, e quando lo stipendio di base è più alto gli aumenti valgono di più.
Il contratto però non si ferma qui. Con una seconda mossa sposta un pacchetto da 457 euro al mese dalle voci accessorie al tabellare, la base inscalfibile della busta paga pubblica. In questo modo, i soldi non solo vengono messi sotto chiave, al riparo dai rischi ( molto eventuali) di tagli per valutazioni negative o altre sanzioni, ma pesano anche di più sul Tfr e sulla pensione.
Può bastare? La domanda è lacerante. E infatti ha spaccato le otto sigle sindacali che rappresentano i 1.685 dipendenti ( non dirigenti) di Palazzo Chigi, microcosmo sopravvissuto alla riforma di Renato Brunetta che nel suo precedente passaggio alla Funzione pubblica aveva rivoluzionato la geografia del pubblico impiego riunendo gli oltre tre milioni di dipendenti pubblici in quattro comparti da centinaia di migliaia di dipendenti ciascuno. Ma nemmeno lui era riuscito a mettere in discussione la monade della presidenza.
Qualche settimana fa l’Aran ha concluso le trattative raccogliendo le adesioni. E a quel punto ci si è messa anche la matematica a complicare il quadro. Perché il « sì » è arrivato da cinque sigle, che rappresentano nel complesso il 50,02% dei dipendenti.
Ma le regole, che si disinteressano della seconda cifra dopo la virgola, per il via libera chiedono l’adesione del 50,1%.
Di qui lo stallo, che sta cominciando a indispettire qualche dipendente, ansioso di ricevere i 5.400 euro medi di arretrati ( il contratto in discussione è l’ultimo tassello mancante ai rinnovi relativi al 2016/ 18) e soprattutto di leggere nel proprio cedolino le cifre del nuovo regime. Cifre che portano gli stipendi base di Palazzo Chigi, escluse tutte le componenti accessorie, a superare del 58% quelli dei ministeri, volando oltre quota 41.900 euro medi contro i 26.500 euro che si incontrano negli altri palazzi del governo. Ad allargare la forbice nella media ponderata interviene anche l’affollamento negli scalini più alti della gerarchia, che a Palazzo Chigi è maggiore rispetto ai ministeri. I funzionari in cima alla scala arriverebbero a una retribuzione fissa da 57.600 euro all’anno: valori che nei ministeri si incontrano solo fra i dirigenti, e che a Palazzo Chigi sono appesi al « no » di tre sigle sindacali. Per ora.
La retribuzione di base ( escluse le voci accessorie) arriverebbe fino a 57.600 euro all’anno