Il Sole 24 Ore

Tokyo, il governo controlla il 14% della Borsa giapponese

Con gli acquisti del piano anti Covid accumulati 130 miliardi di plusvalenz­a Il paradosso: se decidesse di vendere, la Banca centrale causerebbe il tracollo

- Alessandro Plateroti

Il governo giapponese controlla il 14% della Borsa di Tokyo. Con gli acquisti del piano anti- Covid ha accumulato 130 miliardi di plus valenze. Se decidesse di vendere il suo pacchetto causerebbe un tracollo finanziari­o. Il Giappone è anche ai vertici per la crescita del debito pubblico nell’anno della pandemia, salito di oltre 3mila miliardi di dollari. e

Dopo un anno di guerra alla pandemia, il controllo dei governi sui mercati finanziari ha fatto un salto di qualità. Non solo perché i salvataggi di Stato sono diventati ovunque una regola, ma soprattutt­o per la velocità “giapponese” con cui le grandi banche centrali hanno messo in “sicurezza” la stabilità dei tassi e dei mercati azionari. Un bel risultato, confermato anche dai record di Wall Street. Ma anche in tempi di pandemia, il pasto gratis non è previsto: per salvare le borse, lo Stato finisce per comprarle.

Il caso del Giappone merita un Oscar per le distorsion­i monetarie. Dalla scorsa settimana, dopo un anno di super acquisti di titoli quotati, la Banca del Giappone è diventata il più grande azionista individual­e della Borsa di Tokyo: si tratta di una pietra miliare che vale la pena studiare, anche alla luce della strada identica intrapresa da Fed e Bce.

Secondo le cifre ufficiali del listino, le partecipaz­ioni della Bank of Japan nei fondi negoziati in borsa hanno superato i 50 trilioni di yen ( oltre 432 miliardi di dollari).

Shingo Ide, analista del NLI Research Institute, stima che la banca centrale detenga oltre il 7% delle azioni quotate in termini di capitalizz­azione di mercato. A questo pacchetto, si aggiunge poi quello del Government Pension Investment Fund ( GPIF), che può acquistare azioni di società quotate senza passare necessaria­mente per gli Etf, titoli derivati che tracciano l’andamento di asset sottostant­i: il GPIF possiede azioni che valgono un altro 7% della capitalizz­azione del Tokyo Stock Exchange. Di fatto, quindi, due entità controllat­e dal governo giapponese possono determinar­e il crollo o il rally della borsa nazionale .

Ma il paradosso più grottesco arriva dalle cifre di bilancio della Banca centrale: spunta un profitto di 130 miliardi di dollari generato solo dalle plusvalenz­e sugli investimen­ti nel mercato azionario. Un bonus che fa invidia alle “consorelle”, ma che in realtà non è così reale come sembra: almeno per la Banca del Giappone. Per più di un decennio, la banca centrale giapponese, unica tra i suoi pari globali, ha investito centinaia di miliardi di dollari in azioni nazionali. Con i prezzi dei titoli vicini ai massimi di 30 anni, le azioni acquistate dalla banca centrale dieci anni fa sono raddoppiat­e di valore: onore al merito.

Ma Invece degli applauso per il suo acume negli investimen­ti, la BOJ è finita sotto tiro: se vendesse le azioni per realizzare la plusvalenz­a di 130 miliardi, la borsa di Tokyo cadrebbe a picco. In sostanza, si tratta di ricchezza maturata per i giapponesi, ma congelata nel bilancio della banca centrale. Pochi giorni fa, la questione è tornata alla ribalta tra i politici e l’opinione pubblica: tutti chiedono alla banca di trovare dei modi per redistribu­ire la ricchezza straordina­ria. Alcuni pensano alla distribuzi­one di azioni al pubblico o di utilizzare i profitti della banca per avviare l’innovazion­e aziendale, in un’eco dei dibattiti negli Stati Uniti e in Europa sul fatto che i guadagni del mercato azionario non stiano avvantaggi­ando la gente comune.

In effetti, l’intera ripresa del Giappone sembra un bluff. È ormai dagli anni ’ 80 che il governo e la banca centrale puntano sui tassi a zero e sugli aiuti alla Borsa per rilanciare la crescita economica. Oggi sono in gran voga contro ogni crisi, ma l’obiettivo è sempre lo stesso: spingere in basso i tassi e in alto le borse.

Sembra denaro gratis, ma alla fine qualcuno paga il conto: i giapponesi lo pagano da trent’anni. La Borsa di Tokio, infatti, ha appena raggiunto i 30mila punti, soglia considerat­a “storica”: era dall’autunno del 1989, infatti, che il Nikkei non saliva così alto. È la stessa quota che aveva prima del crollo dei due decenni successivi. Il 28 dicembre 1989 il Nikkei chiuse al record di 38.957 punti: a fine 1990, appena risalirono inflazione e tassi, aveva già perso metà capitalizz­azione. Il minimo fu toccato nel 2011 quando l’indice tornò ai livelli del 1982: in pratica, chi aveva investito allora si è trovato 29 anni dopo con un guadagno pari a zero. Non solo. Per tornare al livello record dell’ 89 ( 38.957 punti) la borsa dovrebbe salire ancora del 30%: sono altri 10 anni di tassi a zero e aiuti alle borse? L’Europa non è il Giappone, ma il confine tra rischio e pericolo è lo stesso. Chissà se del caso Giapponese si discuterà anche al vertice Bce di questa settimana.

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La Banca del Giappone, durante la pandemia, è diventata il più grande azionista individual­e della Borsa di Tokyo
EUGENE HOSHIKO / AP
Un anno di super acquisti. La Banca del Giappone, durante la pandemia, è diventata il più grande azionista individual­e della Borsa di Tokyo EUGENE HOSHIKO / AP

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