L’incognita tassi premia l’azionario: corrono i listini europei, Milano + 3,1%
Dopo gli scossoni dei giorni scorsi, nuova stabilità sul mercato dei bond: gli investitori puntano di nuovo sui comparti ciclici come l’auto (+ 3,8%), le banche (+ 3,55%) o le materie prime (+ 3,35%)
I rendimenti del mercato obbligazionario ( in particolare quelli dei Treasury americani) hanno dettato la linea nelle ultime settimane ai mercati. Quasi sempre le fiammate al rialzo dei tassi Usa, alimentate dalla risalita delle aspettative di inflazione, si sono accompagnate a volatilità in Borsa. E forti scivoloni. In particolare sull’indice che più di ogni altro ha prosperato con la pandemia: il tecnologico Nasdaq che dai massimi di febbraio ha perso oltre l’ 8 per cento. Il copione andato in scena ieri è stato anomalo: non ci sono state fiammate sui tassi come nelle scorse settimane. Ma è anche vero che i rendimenti non sono neanche scesi. Sono rimasti stabili. E tanto è bastato agli investitori per tornare a riposizionarsi sull’azionario. In particolare i settori che, in un contesto di inflazione e tassi in rialzo, hanno da guadagnare: i comparti ciclici protagonisti ieri di una giornata di forti acquisti. E il fatto che questi settori siano storicamente preponderanti sui listini europei a dispetto di Wall Street spiega perché il Vecchio Continente sia andato decisamente meglio della piazza americana.
A fronte di rialzi marginali sugli indici Usa, con i big tecnologici ancora ostaggio dei realizzi, le piazze europee hanno messo a segno un recupero consistente con rialzi del 3,31% a Francoforte, del 3,12% a
Piazza Affari, del 2,08% a Parigi e dell’ 1,9% a Madrid. Gli acquisti si sono concentrati, come accennato, sui settori più esposti alla prospettiva di una ripresa dell’economia come l’auto (+ 3,8%), le banche (+ 3,55%), le materie prime (+ 3,35%) o la chimica (+ 3,51%).
Gli investitori, insomma, hanno scelto di tornare a concentrarsi sulle ragioni che hanno contribuito al + 17% messo a segno dall’indice azionario globale Msci World da novembre ad oggi: la fine dell’emergenza sanitaria grazie ai vaccini e la prospettiva di una solida ripresa dell’economia grazie ai piani di stimolo fiscale. Una prospettiva che, indubbiamente, rischia di avere l’inflazione come effetto collaterale. Ma che difficilmente comporterà il ritiro anticipato degli stimoli monetari che le banche centrali hanno varato finora per sostenere l’economia. Lo ha detto chiaramente il numero uno della Fed Jerome Powell in un’intervista al Wall Street Journal di qualche giorno fa: « La politica monetaria continuerà ad essere accomodante finché non avremo raggiunto l’obiettivo della piena occupazione e un’inflazione stabilmente oltre il 2 per cento » . Uno scenario che non pare dietro l’angolo. Se è vero infatti che i colli di bottiglia della ripresa postpandemica generanno pressione sui prezzi è anche vero che si tratterà di un fenomeno, con ogni probabilità, transitorio. Su questo punto ieri è intervenuta Janet Yellen, segretario al Tesoro dell’amministrazione Biden. Intervistata da Msbc si è detta convinta che i timori di inflazione correlati al maxi- piano di stimoli fiscali da 1900 miliardi di dollari siano ingiustificati: « Prima della pandemia avevamo un tasso di disoccupazione al 3,5% ma con un’inflazione ben al di sotto dell’obiettivo del 2% » ha fatto notare l’ex numero uno della Fed convinta che, con 24 milioni di posti di lavoro persi causa Covid, non si corra questo rischio.
Benché le parole di Janet Yellen siano condivisibili e diversi economisti abbiano espresso posizioni analoghe, gli investitori hanno dato prova di un certo nervosismo. L’instabilità che si è vista sui Treasury è frutto anche di un flop in occasione di un’asta da 65 miliardi di dollari di titoli a 7 anni dello scorso 25 febbraio in cui si è registrata una domanda deludente che ha contribuito al “selloff”. Il timore è quello di un bis in vista di una nuova tornata di collocamenti che vedrà il Tesoro Usa piazzare sui mercati 120 miliardi di dollari di nuovi titoli.
I timori di inflazione sono più contenuti nel caso dell’Eurozona ma l’effetto contagio dai Treasury sui governativi europei è evidente: il tasso dei Bund decennali ha chiuso ieri gli scambi a - 0,28% ( era a - 0,57% a inizio anno) mentre quello del BTp decennale, ieri a 0,76%, si è praticamente rimangiato l’effetto Draghi. La risalita dei tassi nominali sarà con ogni probabilità oggetto di dibattito al direttivo della Bce in programma per giovedì. Nei giorni scorsi Fabio Panetta, membro italiano del board Bce, ha detto che l’effetto contagio dai Treasury sui tassi nominali dell’Eurozona mina la ripresa dell’economia e deve essere contrastato. Un chiaro auspicio a nuovi interventi per contenere il costo del debito. Intanto dal monitoraggio settimanale degli acquisti effettuati nell’ambito del piano emergenziale Pepp è emerso che la Bce ha comprato appena 11,9 miliardi di euro titoli. In calo rispetto alla settimana precedente e al di sotto del minimo sindacale che le case d’affari fissano a quota 17- 20 miliardi di euro a settimana. L’orientamento della Bce sarà decisivo per l’esito della prossima asta BTp in programma giovedì 11 marzo e che vedrà il Tesoro piazzare 8 miliardi di titoli a 3 e 7 anni.
Settimana scorsa la Bce ha comprato appena 11,9 miliardi di euro bond con il piano Pepp: dato in calo