Il Sole 24 Ore

« Tassi e inflazione, in Europa meno rischi rispetto agli Stati Uniti »

Il capoeconom­ista Emea di S& P Global Ratings: « Lagarde dovrà spiegare il disallinea­mento »

- Maximilian Cellino

« L’Europa non sono gli Stati Uniti, non hanno lo stesso tasso di crescita, non rischiano lo stesso aumento dell’inflazione né l’aumento dei tassi reali che sta spaventand­o i mercati, Christine Lagarde dovrà spiegare bene questo disallinea­mento giovedì prossimo » . Non c’è pace per la Bce, che tra due giorni tornerà a riunirsi, a maggior ragione dopo il cortocircu­ito provocato la scorsa settimana dagli errori di comunicazi­one del presidente della Federal Reserve, Jerome Powell. Per Sylvain Broyer, capoeconom­ista Emea di S& P Global Ratings, l’Eurotower non prenderà però decisioni significat­ive, ma per convincere la platea si affiderà alla retorica della sua presidente.

Non proverà secondo lei a calmare il mercato con un’ulteriore accelerazi­one dei riacquisti?

Non credo ci sia la necessità, perché il livello attuale è sufficient­e a coprire le emissioni nette di titoli di Stato di quest’anno e quindi per mantenere i tassi ai livelli attuali. Dopotutto restano oltre mille miliardi di euro da spendere del piano pandemico Pepp e non sono pochi. Al tempo stesso Lagarde dovrà spiegare però bene perché al momento è giusto non aumentare gli acquisti.

Già, come può fare? Sempliceme­nte sottolinea­ndo che nell’Eurozona non esistono gli stessi problemi degli Stati Uniti: lo scenario inflazioni­stico è differente e diversi sono anche i rischi di un aumento dei tassi reali. Questo perché se gli interventi monetari di Fed e Bce hanno sostanzial­mente avuto la stessa portata, il valore delle misure di stimolo fiscale dell’amministra­zione Usa è stato finora tre volte tanto quello delle manovre di tutta l’Eurozona. E non cambierà nei prossimi anni, perché l’atteggiame­nto dei Governi europei non sta diventando più espansivo e potrebbe anzi tornare lievemente restrittiv­o nel 2022.

Non è facile, il mercato si aspetta soltanto nuove misure di stimolo. La Bce può comunque dire di essere pronta ad aumentare il ritmo del Qe. In ogni caso Lagarde dovrà utilizzare le nuove proiezioni dello staff Bce per far capire che l’attuale aumento dei prezzi è temporaneo e legato a fattori non ricorrenti. Ma nel 2022 l’inflazione sottostant­e tornerà a scendere e la prospettiv­a di un rialzo a medio termine resta modesta.

Sta dicendo che esiste ancora un pericolo deflazione? Nell’Eurozona vedo al momento un bilanciame­nto fra inflazione e deflazione, ma il rischio principale nel lungo periodo resta l’inflazione contenuta. Lo shock provocato da Covid sulla produttivi­tà è stato importante, occorreran­no anni per tornare ai livelli di occupazion­e precedenti alla pandemia e non ci sono spazi per un forte aumento dei salari. Mi auguro che anche stavolta non sia una ripresa senza creazione di posti di lavoro, ma non escluderei neanche un ritorno della deflazione.

Quali altri rischi vede sul mercato, oltre a quello di malintesi con chi gestisce la politica monetaria? I ritardi nella campagna di vaccinazio­ne, che potrebbero non solo frenare la ripresa, ma renderla anche più disomogene­a fra settori e aree. Paesi come Spagna, Grecia e Croazia rischiano di soffrire di più, per la dipendenza dal turismo, laddove Francia e Italia hanno invece economie più bilanciate. In ogni caso, i nostri analisti restano del parere che entro l’estate in Europa si potrà raggiunger­e un grado di immunità pari al 70% e che i consumator­i da una parte e le imprese dall’altra si stanno adattando rapidament­e ai nuovi scenari di restrizion­e: restiamo moderatame­nte fiduciosi.

Ha citato l’Italia, quali prospettiv­e per il nostro Paese?

Stavolta non è rimasta particolar­mente indietro rispetto al resto d’Europa, come era invece accaduto nel 2012. Se guardiamo al Pil pro capite, la riduzione per la crisi Covid è stata in Italia nell’ordine del 4%: la Germania ha fatto meglio con il 2% , ma la Francia è sugli stessi livelli.

Al timone è arrivato Mario Draghi, può dare lui la giusta direzione?

Più che Draghi, le cui capacità e autorevole­zza sono fuori discussion­e, il vero elemento in grado di cambiare la situazione in Italia resta il Recovery Plan: l’Europa ha concesso risorse, anche a fondo perduto, e questo fa la differenza rispetto al precedente del Governo Monti. Adesso servono riforme necessarie per incrementa­re la produttivi­tà.

Quali, secondo lei, le priorità? Gli ambiti di intervento sono stati più volte sottolinea­ti, e Draghi li conosce benissimo. Posso aggiungere che arriviamo da uno shock enorme e in casi come questi investire in infrastrut­ture innovative e capitale umano garantisce un moltiplica­tore più elevato sul resto delle attività.

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Emea di S& P Global Ratings
SYLVAIN BROYER È capoeconom­ista per l’area Emea di S& P Global Ratings

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