« Tassi e inflazione, in Europa meno rischi rispetto agli Stati Uniti »
Il capoeconomista Emea di S& P Global Ratings: « Lagarde dovrà spiegare il disallineamento »
« L’Europa non sono gli Stati Uniti, non hanno lo stesso tasso di crescita, non rischiano lo stesso aumento dell’inflazione né l’aumento dei tassi reali che sta spaventando i mercati, Christine Lagarde dovrà spiegare bene questo disallineamento giovedì prossimo » . Non c’è pace per la Bce, che tra due giorni tornerà a riunirsi, a maggior ragione dopo il cortocircuito provocato la scorsa settimana dagli errori di comunicazione del presidente della Federal Reserve, Jerome Powell. Per Sylvain Broyer, capoeconomista Emea di S& P Global Ratings, l’Eurotower non prenderà però decisioni significative, ma per convincere la platea si affiderà alla retorica della sua presidente.
Non proverà secondo lei a calmare il mercato con un’ulteriore accelerazione dei riacquisti?
Non credo ci sia la necessità, perché il livello attuale è sufficiente a coprire le emissioni nette di titoli di Stato di quest’anno e quindi per mantenere i tassi ai livelli attuali. Dopotutto restano oltre mille miliardi di euro da spendere del piano pandemico Pepp e non sono pochi. Al tempo stesso Lagarde dovrà spiegare però bene perché al momento è giusto non aumentare gli acquisti.
Già, come può fare? Semplicemente sottolineando che nell’Eurozona non esistono gli stessi problemi degli Stati Uniti: lo scenario inflazionistico è differente e diversi sono anche i rischi di un aumento dei tassi reali. Questo perché se gli interventi monetari di Fed e Bce hanno sostanzialmente avuto la stessa portata, il valore delle misure di stimolo fiscale dell’amministrazione Usa è stato finora tre volte tanto quello delle manovre di tutta l’Eurozona. E non cambierà nei prossimi anni, perché l’atteggiamento dei Governi europei non sta diventando più espansivo e potrebbe anzi tornare lievemente restrittivo nel 2022.
Non è facile, il mercato si aspetta soltanto nuove misure di stimolo. La Bce può comunque dire di essere pronta ad aumentare il ritmo del Qe. In ogni caso Lagarde dovrà utilizzare le nuove proiezioni dello staff Bce per far capire che l’attuale aumento dei prezzi è temporaneo e legato a fattori non ricorrenti. Ma nel 2022 l’inflazione sottostante tornerà a scendere e la prospettiva di un rialzo a medio termine resta modesta.
Sta dicendo che esiste ancora un pericolo deflazione? Nell’Eurozona vedo al momento un bilanciamento fra inflazione e deflazione, ma il rischio principale nel lungo periodo resta l’inflazione contenuta. Lo shock provocato da Covid sulla produttività è stato importante, occorreranno anni per tornare ai livelli di occupazione precedenti alla pandemia e non ci sono spazi per un forte aumento dei salari. Mi auguro che anche stavolta non sia una ripresa senza creazione di posti di lavoro, ma non escluderei neanche un ritorno della deflazione.
Quali altri rischi vede sul mercato, oltre a quello di malintesi con chi gestisce la politica monetaria? I ritardi nella campagna di vaccinazione, che potrebbero non solo frenare la ripresa, ma renderla anche più disomogenea fra settori e aree. Paesi come Spagna, Grecia e Croazia rischiano di soffrire di più, per la dipendenza dal turismo, laddove Francia e Italia hanno invece economie più bilanciate. In ogni caso, i nostri analisti restano del parere che entro l’estate in Europa si potrà raggiungere un grado di immunità pari al 70% e che i consumatori da una parte e le imprese dall’altra si stanno adattando rapidamente ai nuovi scenari di restrizione: restiamo moderatamente fiduciosi.
Ha citato l’Italia, quali prospettive per il nostro Paese?
Stavolta non è rimasta particolarmente indietro rispetto al resto d’Europa, come era invece accaduto nel 2012. Se guardiamo al Pil pro capite, la riduzione per la crisi Covid è stata in Italia nell’ordine del 4%: la Germania ha fatto meglio con il 2% , ma la Francia è sugli stessi livelli.
Al timone è arrivato Mario Draghi, può dare lui la giusta direzione?
Più che Draghi, le cui capacità e autorevolezza sono fuori discussione, il vero elemento in grado di cambiare la situazione in Italia resta il Recovery Plan: l’Europa ha concesso risorse, anche a fondo perduto, e questo fa la differenza rispetto al precedente del Governo Monti. Adesso servono riforme necessarie per incrementare la produttività.
Quali, secondo lei, le priorità? Gli ambiti di intervento sono stati più volte sottolineati, e Draghi li conosce benissimo. Posso aggiungere che arriviamo da uno shock enorme e in casi come questi investire in infrastrutture innovative e capitale umano garantisce un moltiplicatore più elevato sul resto delle attività.