Il tasso di occupazione femminile torna al livello del 2017
Nidi, obiettivo europeo copertura del 33% di posti Italia ferma al 23%
La fotografia più aggiornata sull’occupazione femminile in Italia la fornisce l’Istat: su 444mila posti di lavoro andati in fumo nel 2020, ben 312mila sono relativi a donne. Nel solo mese di dicembre, rispetto a novembre, su 101mila occupati in meno, 99mila sono donne. Il tasso di occupazione femminile, a dicembre 2020 è sceso al 48,6%, precipitando così alle ultime posizioni a livello europeo; siamo tornati indietro ai valori di marzo 2017, e distanti ben 18,9 punti, in meno, ovviamente, rispetto al tasso di occupazione maschile, stabile al 67,5%.
Il Covid, ma anche una scuola e una legislazione debolissima sul fronte conciliazione vita- lavoro, hanno lasciato il segno: nell’ultimo anno la crisi è stata pagata soprattutto da donne, giovani e precarie. Anche perché molte donne sono tradizionalmente impiegate nel terziario, ovvero nei servizi alla famiglia, nell’alberghiero, nella ristorazione che più hanno risentito delle chiusure per l’emergenza Covid. Su una forza lavoro di 25 milioni di unità ( inclusi i 2,2 milioni di disoccupati), molto meno della metà sono donne: 10,5 milioni ( di cui oltre 1 milione senza un impiego). Per trovare un valore più elevato bisogna tornare indietro ad aprile 2012, a testimonianza di una bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione femminile, sempre a dicembre, è salito al 10% ( contro l’ 8,3% degli uomini), e quello di inattività è al 45,9%, in crescita negli ultimi mesi ( contro il 26,3% degli uomini).
Nel confronto internazionale le cose vanno sempre peggio: tra aprile e settembre 2020 l’Italia ha perso 402mila occupate rispetto all’anno precedente, una perdita doppia a quella europea. Per le lavoratrici tra 15 e 64 anni se in Europa in media c’è stata una riduzione del 2,1%, in Italia il calo è stato del 4,1%, evidenzia un report della Fondazione consulenti del lavoro, sottolineando che il differenziale di genere si è ampliato a causa della crisi, con un gap di ben 1,7 punti percentuali tra uomini e donne da noi, mentre in Europa mediamente si registra la stessa contrazione occupazionale.
Le donne italiane pagano per la mancanza di servizi che possano alleggerire il carico di cura della famiglia che ancora grava in prevalenza su di loro. L’obiettivo europeo al 2010 era di avere per i bambini della fascia 0- 3 anni una copertura del 33% di posti al nido, ma al 2020 l’Italia è ferma al 23%, al Sud si supera di poco il 10%. Il Pnrr conta, attraverso i 3,6 miliardi del Recovery Fund destinati al Piano asili nido e servizi per l’infanzia di raggiungere un’offerta media nazionale pari al 83% del fabbisogno, con la creazione di circa 622.500 nuovi posti entro il 2026, invertendo la posizione dell’Italia da paese sotto la media a paese sopra la media europea. C’è un ritardo nell’orientamento scolastico da colmare, già dalle medie, verso l’istruzione tecnica e le discipline Stem, indirizzi dove le donne sono ancora troppo poche, ma sono i più richiesti dalle imprese ( e quindi garantiscono una occupazione).