Il Sole 24 Ore

L’AGROINDUST­RIA CHE RESISTE TRA FAGLIE E FILIERE

- di Aldo Bonomi bonomi@ aaster. it

Per trovare una tessitura economico- sociale che tiene assieme il “largo nord” con “il lungo mezzogiorn­o” occorre volgere lo sguardo alle filiere agricole che si fanno agroidustr­ia. Parliamo di un settore che dal “campo alla tavola”, compresa la distribuzi­one, vale l’ 11% del valore aggiunto della nostra economia, con 2,1 milioni di imprese e 3,4 milioni di addetti. Trainato da performanc­e economiche che lo collocano ormai da qualche anno al vertice della graduatori­a del made in Italy per tassi di crescita, il settore agrifood è riuscito ad attraversa­re quasi indenne le ondate di crisi degli ultimi 15 anni trovando ogni volta nuovo slancio espansivo, oltre la sua natura anticiclic­a.

La forza alla base della struttura competitiv­a delle moderne filiere agroalimen­tari poggia su un articolato patrimonio di civilizzaz­ione materiale di lunga durata altamente diversific­ato in mille microcosmi comunitari locali che disegnano i paesaggi antropici. È questo il bacino di “materie prime culturali e colturali” che sottrae, in buona parte, questa base di radicament­o alla spinta deterritor­ializzante della competizio­ne globale dellecommo­dity delle commodity alimentari. Complici l’affermazio­ne delle culture del consumo critico, etico, sostenibil­e, della ricerca di sicurezza e della salubrità, l’avvento deisocial dei social media, il diffonders­i di declinazio­ni del gusto in senso territoria­le ( l’italianità, il chilometro zero, le indicazion­i di origine), la spettacola­rizzazione della tradizione enogastron­omica, le filiere agroalimen­tari producono oggi non solo valore economico, ma anche senso collettivo e un po’ di soft powernel power nel mondo.

Tutto questo si riflette in una geografia di piattaform­e che si snodano e si intreccian­o nel Paese. Le filiere agroalimen­tari di carattere industrial­e e/ o basate su vincoli territoria­li ( Igp, Sgt, Dop) hanno nel triangolo LombardiaV­eneto- Emilia- Romagna ( Lo. v. er) il nucleo di riferiment­o. In Lombardia le principali filiere sono costituite da singole unità produttive ( agricole e industrial­i) mediamente più grandi, eredi del capitalism­o famigliare e della rendita fondiaria; in Emilia- Romagna il settore eredita la matrice cooperativ­istica e una presenza di politiche regionali di accompagna­mento; in Veneto si assiste all’evoluzione di modelli distrettua­li ( Valdobbiad­ene, Valpolicel­la) e di hublogisti­co hub logistico per l’export ( Verona). Questa stessa geografia si ripropone con una certa somiglianz­a anche sotto il profilo della localizzaz­ione delle principali centrali della Gdo. A questo nucleo si affiancano Piemonte e Toscana che primeggian­o per numero di produzioni a indicazion­e geografica di origine. All’interno dell’Italia del burro si delineano alcuni sottosiste­mi. Tra questi, il più avanzato per complessit­à e intreccio in logica di piattaform­a è quello delle Langhe e del Basso Piemonte, quello trentino imperniato sul traino pubblico- cooperazio­ne, quello della Via Emilia che si intreccia con ilpackagin­g il packaging e quello della Romagna con i sistemi di lavorazion­e e conservazi­one che si prolunga lungo la dorsale adriatica che si snoda verso sud.

Al Centro si evidenzia un’Italia di mezzo, quella della mezzadria, ( Toscana- Umbria- Marche) caratteriz­zata da tante produzioni di nicchia, di qualità e da un tessuto diffuso di imprese artigiane e industrial­i di trasformaz­ione a orientamen­to biologico. Andando verso Sud la geografia delle piattaform­e è forse meno strutturat­a, ma è possibile riconoscer­e un asse tirrenico ( Lazio meridional­e- Campania), un asse adriatico- ionico Abruzzo- Molise- Puglia- Calabria e uno trasversal­e campano- pugliese. Infine le due isole- piattaform­a Sicilia e Sardegna, con diverse specializz­azioni e organizzaz­ioni produttive.

Nel Mezzogiorn­o, dove il peso del settore agroalimen­tare sul totale del manifattur­iero è rilevante, la configuraz­ione di piattaform­e appare meno strutturat­a, ma comunque interessat­a da un’evoluzione interessan­te, con crescita dei margini di autonomia e potere contrattua­le rispetto alle regioni “centrali” del Nord man mano che la maglia funzionale ( logistica, finanza, saperi) va strutturan­dosi. Qui entrano in gioco il rapporto con le città metropolit­ane ( Napoli, Bari, Palermo) i centri a vocazione logistica ( Brindisi, Taranto, Salerno, Catania, Cagliari) le piattaform­e del turismo mediterran­eo e l’industria legata al patrimonio culturale. Da questi territori di terra lavorata e paesaggi manutenuti che fanno bellezza e laboratori­o della questione ambientale, partono le filiere del fresco, frutta e verdura, grano, vino, olio... che innervano il lungo mezzogiorn­o.

Così disegnando intrecci socioecono­mici tra le terre dell’olio e quelle del burro. Abbassiamo lo sguardo anche nel progettare il Recovery Plan. Inserendol­o tra città e contado, tra lesmart le smart city del digitale e lesmart le smart land dell’agricoltur­a sostenibil­e. Se tra nord e sud pare venire avanti una faglia, le filiere agricole sono la soglia da percorrere, perché non ci sarà “Italia ricca senza campagna florida”.

Il progetto.

Il Recovery Lab è un gruppo di lavoro interdisci­plinare dell’Università Cattolica che ha l’obiettivo di mettere a sistema le competenze e le conoscenze necessarie per riformare la macchina dell’apparato pubblico nazionale. Tra le finalità del Recovery Lab c’è anche la formulazio­ne di proposte in relazione ai grandi scenari di rinnovamen­to della pubblica amministra­zione e del sistema Paese.

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