Allarme infrastrutture negli Usa, 2mila miliardi per il rilancio
Al giovane ministro Buttigieg il compito di far decollare un progetto strategico Dem e repubblicani divisi su spesa pubblica e tasse per finanziare le opere
Il futuro della vasta e spesso vetusta rete di infrastrutture americane potrebbe essere nelle mani del più giovane tra i ministri dell’amministrazione di Joe Biden. Del 39enne Pete Buttigieg, ex sindaco della cittadina di South Bend in Indiana, poi aspirante alla Casa Bianca, infine segretario al Trasporti. È lui il volto della campagna per far decollare un progetto che vorrebbe definire il mandato della nuova Casa Bianca anche più della lotta alla pandemia. Non solo una risposta d’emergenza, ma un’ambiziosa architettura da forse oltre duemila miliardi – cifre esatte sono tuttora in evoluzione - per il rilancio d’una nuova crescita. Capace di rafforzare la competitività del Paese. E, con interventi ramificati, di contribuire anche a fare i conti con le profonde crepe sociali domestiche, diseguaglianze e disagio di intere comunità e regioni.
Sos strade e reti
L’allarme per il network infrastrutturale, da strade a elettricità e banda larga, che lega un Paese grande quanto un continente è cresciuto ancora al debutto dell’amministrazione: l’associazione degli ingegneri, a inizio marzo, nella pagella quadriennale ha bocciato la sua “performance”, calcolando che il vuoto di investimenti per renderlo adeguato è semmai superiore, nell’arco della prossima decade, agli sforzi immaginati. Nelle scorse settimane, in un appello pubblico, aveva denunciato il costo dell’inazione: 3.300 dollari all’anno a famiglia, 10mila miliardi di Pil perduto e un declino della produttività del business pari a 23.000 miliardi in vent’anni.
Buttigieg, non a caso, è stato al fianco di Biden nei primi colloqui alla Casa Bianca con parlamentari democratici e repubblicani sulle grandi opere. L’obiettivo dichiarato da Biden: « Tornare leader mondiali e a tutto campo nelle infrastrutture » . Il giovane ministro non è stato da meno. « Bisogna cogliere un’opportunità generazionale » , aveva detto fin dalle audizioni per la sua conferma all’incarico. E in una mail ai 55.000 dipendenti del Department of Transportation ha immaginato « un progetto nazionale e innovativo per il recupero e ricostruzione dell’economia, per affrontare la sfida del cambiamento climatico e fare del sistema dei trasporti un motore di equità » .
Il nodo dei finanziamenti
Fin qui, però, le dichiarazioni d’intenti. Non sarà affatto facile metterle in pratica: dietro impegni all’apparenza bipartisan a migliorare l’ossatura di economia e servizi essenziali, si celano divergenze profonde, politiche e filosofiche, su spesa pubblica e tasse necessarie a sostenere lo sforzo. Per i progressisti, ha enunciato il leader della confederazione sindacale Afl- Cio Richard Trumka, il pericolo è non fare abbastanza: nel disegno infrastrutturale vedono una « legge per la giustizia » , sociale, razziale e sul clima. Vorrebbero ampliarlo a misure per il « capitale umano » , comprese spese per l’istruzione. Appelli a ridimensionare l’impegno e il ruolo del governo arrivano invece dai repubblicani e anche dalle aziende: le associazioni imprenditoriali sostengono ipotesi limitate a mille miliardi e, soprattutto, attaccano gli incrementi delle imposte sulle corporation e i redditi più alti per pagare il conto. Chiedono piuttosto incentivi al privato, anche se paiono aperte a imposte sulla benzina e forme di carbon tax.
Conscio degli ostacoli Buttigieg, come Biden, ha delineato un percorso che, ad ambizioni trasformative affianca passi che creino consenso attorno al cambiamento. Ha svelato così un’agenda di “Fix It First”, che anzitutto risani l’esistente, al summit virtuale CityLab 2021. Non si tratta di poca cosa: i soli ritardi di manutenzione valgono circa mille miliardi, a cominciare da una rete stradale per un quinto dissestata. Buttigieg, per progetti pilota, può inoltre fa leva su programmi autonomi del suo ministero quali il fondo Build da un miliardo. Ancora emanare regole per incentivare riduzioni nell’effetto serra. E sbloccare progettisimbolo nei trasporti di massa quali il Gateway a New York o tunnel ferroviari sotto il fiume Hudson, fermatisi sotto Trump.
Tra manutenzione e rivoluzione
La rivoluzione infrastrutturale è però ben altra. Nel disegno di Biden, che dovrebbe essere delineato durante il prossimo Discorso sullo Stato dell’Unione, ci sono reti stradali come acquedotti e ponti; ferrovie e broadband digitale, con un’enfasi su impatto ambientale e transizione energetica alle fonti rinnovabili. Spazio dovrebbero trovare, ad esempio, auto elettriche e stazioni di ricarica. Obiettivi più difficili da realizzare. In un clima, oltretutto, di urgenza politica: per i democratici, con una risicata maggioranza parlamentare, è necessario far decollare l’intero piano quest’anno, perchè il 2022 sarà dominato dalle elezioni congressuali di Midterm e leggi controverse rischiano di arenarsi. Questa prospettiva potrebbe spingere i democratici a usare nuovamente in Congresso speciali procedure di reconciliation del budget, come con gli aiuti anti- Covid, per provare a superare ogni ostruzionismo.
I precedenti
Non basta: la storia recente è costellata di fallimenti in investimenti infrastrutturali. Il democratico Barack Obama, di cui Biden fu vicepresidente, dovette rinunciare anche a un modesto piano da 50 miliardi per strade, ferrovie e aeroporti. Il repubblicano Donald Trump celebrò ripetute settimane dedicate alle infrastrutture, ma un suo progetto da mille miliardi, quasi interamente a base di incentivi alle aziende, non vide mai la luce.
Certe sono tuttavia anche le necessità. La American Society of Civil Engineers ( Asce) è stata nuovamente spietata nel suo voto sulle infrastrutture. La media è C-, mediocre. Un po’ meglio del D+ precedente, fermo dal 1998. Ma per arrivare a B, alla sufficienza nell’immediato, occorrerebbero investimenti per 2.600 miliardi in dieci anni. È un deficit di lungo periodo che peggiora: un decennio fa era 2.200 miliardi. La promozione ad A, ad un sistema attrezzato per il futuro, resta un miraggio. « Non abbiamo compiuto gli investimenti nella manutenzione di infrastrutture che in alcuni casi sono state costruite oltre 50 anni or sono » , ha detto il direttore dell’Asce, Tom Smith. « Corriamo il rischio di significative perdite economiche, di costi per consumatori, imprese, manifattura – e per la qualità della vita » .
Tra le 17 categorie considerate, due strappano a malapena la sufficienza: porti e ferrovie. Il trasporto di massa urbano è fanalino di coda con D -. ED ricevono dighe, strade, sistemi di argini e gestione di acque reflue. Qualche schiarita affiora su acquedotti, fognature, servizi elettrici e energia. Ma a dimostrare quanto ogni resilienza in servizi essenziali sia precaria e diseguale sono i recenti disastri in Texas: un’ondata di gelo ha paralizzato l’intera rete energetica e dell’acqua potabile. Un intero anno di pandemia ha esposto le carenze nelle infrastrutture digitali.