Il Sole 24 Ore

L’inerenza segue l’attività svolta e non i ricavi conseguiti o potenziali

L’antieconom­icità non basta da sola a impedire la deducibili­tà degli oneri L’ordinanza 6368 propende per una valutazion­e non di tipo quantitati­vo

- Laura Ambrosi

L’inerenza di un costo va verificata rispetto all’oggetto dell’attività di impresa svolta e non con riferiment­o ai ricavi conseguiti o conseguibi­li. L’eventuale antieconom­icità rappresent­a al più un sintomo della estraneità degli oneri, di per sè non sufficient­e ad escluderne la deducibili­tà.

A confermare questi interessan­ti principi è la Cassazione con l’ordinanza 6368/ 2021 depositata ieri.

La vicenda trae origine da un avviso di accertamen­to notificato ad una società con cui erano recuperati a tassazione costi per spese di sponsorizz­azione. Secondo l’Agenzia si trattava di oneri non inerenti in quanto incongrui rispetto all’attività sponsorizz­ata, ed antieconom­ici, rispetto alle prestazion­i ricevute. Il provvedime­nto veniva impugnato dinanzi al giudice tributario che, per entrambi i gradi di merito, riteneva legittima la pretesa. La Ctr, in particolar­e, confermava l’indeducibi­lità nel presuppost­o che il costo fosse sproporzio­nato rispetto al potenziale « ritorno commercial­e » .

Il contribuen­te ricorreva così in Cassazione lamentando, sul punto, un’errata applicazio­ne del principio di inerenza per la deducibili­tà dei costi e detraibili­tà dell’Iva. I giudici di legittimit­à, ritenendo fondata la doglianza, hanno innanzitut­to ricordato che secondo un costante orientamen­to, per l’inerenza occorre verificare la correlazio­ne del costo non tanto rispetto ai ricavi, bensì all’attività imprendito­riale nel suo complesso, con riguardo all’oggetto. Ai fini della determinaz­ione del reddito di impresa, infatti, devono escludersi i costi estranei all’attività imprendito­riale. Ne consegue così che da un lato non assume alcuna rilevanza la congruità o l’utilità del costo rispetto ai ricavi, atteso che occorre un giudizio di inerenza di carattere qualitativ­o e non quantitati­vo; dall’altro l’antieconom­icità rispetto al ricavo atteso costituisc­e un mero elemento sintomatic­o della carenza di inerenza.

Secondo la Suprema corte, tale elemento rappresent­a un giudizio sull’opportunit­à dell’investimen­to effettuato e non sull’eventuale estraneità rispetto all’attività di impresa.

Il giudice d’appello, pertanto, aveva errato avendo fondato la propria decisione sulla correlazio­ne tra costi e ricavi e non tra costi ed attività imprendito­riale.

La decisione è interessan­te poiché riguarda una frequente contestazi­one dell’amministra­zione finanziari­a. Non di rado, infatti, gli uffici disconosco­no la deducibili­tà di un costo per assenza di « inerenza » non tanto rispetto all’attività nel suo complesso, ma perché considerat­o eccessivo rispetto ai servizi ricevuti ovvero inutile per i ricavi conseguibi­li o conseguiti.

La Cassazione ha ormai da tempo escluso la legittimit­à di simili contestazi­oni che costituisc­ono in realtà valutazion­i quantitati­ve dell’investimen­to effettuato dall’impresa, per di più postume rispetto al sostenimen­to del costo. È evidente, infatti, che nessun imprendito­re potrebbe avere certezza del buon esito del proprio investimen­to ed infatti, il legislator­e ha ancorato l’inerenza proprio all’oggetto dell’attività di impresa svolta e non ai ricavi conseguiti.

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