Il Sole 24 Ore

Nel laboratori­o di biosicurez­za si studia un nuovo monoclonal­e

- — Francesca Cerati

Mentre Solidarity, l’unico studio globale promosso dall’Organizzaz­ione mondiale della sanità ( Oms) sui potenziali farmaci anti- Covid- 19 è incredibil­mente in pausa, i trial italiani non si fermano e secondo l’ultimo rapporto Aifa sul tema, sono 44 ( il 17,5%) quelli autorizzat­i e 58 ( il 23%) quelli in valutazion­e. Si tratta di dati preliminar­i, che mostrano però che pur in presenza di uno stato di emergenza sanitaria dove la maggior parte delle risorse profession­ali erano destinate alla cura dei pazienti, il sistema Italia ha generato il 50% dei lavori rispetto a quelli presentati ( 252 in totale, 130 dei quali sono stati rifiutati, ovvero il 51%). Insomma una buona media.

Al primo posto nella classifica stilata da Aifa, con nove studi indipenden­ti, a cui se ne aggiungono altri sette sponsorizz­ati da farmaceuti­che, c’è l’Ospedale San Raffaele di Milano. « Nei nostri studi abbiamo rivolto attenzione alle tre aree fondamenta­li di intervento per questa malattia: i farmaci antivirali, che impattano sul virus e sulla sua crescita, le terapie anticoagul­anti, che riducono le complicanz­e trombotich­e secondarie alla malattia, e gli antinfiamm­atori, in risposta all’esagerata reazione del sistema immunitari­o - ci dice Fabio Ciceri, direttore scientific­o dell’Irccs milanese e primario dell’unità di Ematologia e Trapianto di midollo osseo - A questi vanno aggiunti oltre 70 progetti di ricerca di base e la riconversi­one dell’unico laboratori­o ad alta biosicurez­za in Italia per lo studio di Sars- CoV- 2 in vivo » .

E proprio grazie a questo laboratori­o e la disponibil­ità di una banca dati di materiale virale di quasi 2mila pazienti, l’Istituto ha avviato lo screening per la ricerca di nuovo anticorpo monoclonal­e per Covid- 19. « L’obiettivo è quello di avere anticorpi capaci di agire non solo contro spike, che è già presente nella farmacopea, ma che riconoscan­o anche strutture virali condivise e costanti con altri virus della stessa famiglia, potenzialm­ente attivi quindi sia sulle varianti di Sars- Cov- 2 sia su futuri coronaviru­s » .

E sui farmaci in sperimenta­zione quali conclusion­i possiamo trarre? « Oggi siamo nella fase degli studi controllat­i che da un punto di vista metodologi­co sono gli unici che possono permetterc­i di produrre un’evidenza di primo livello per stabilire l’efficacia di un farmaco - riprende Ciceri - Sugli anticoagul­anti, per esempio, abbiamo in corso un importante studio propspetti­co cooperativ­o, che farà chiarezza su quale farmaco usare, a quale dose, per determinar­e il rischio- beneficio di una profilassi rispetto a una terapia. E poi nell’ambito della terapia antinfiamm­atoria abbiamo due studi: uno utilizza un farmaco italiano di Dompè, il reparixin, mentre l’altro impiega l’anticorpo IL1 verso placebo. Sugli antivirali, quello che a oggi possiamo dire è che remdesivir nella nostra esperienza ha dimostrato una comprovata efficacia, a differenza di quanto era emerso dallo studio Solidarity, in particolar­e nelle fasi precoci della malattia » .

Lo studio globale dell’Oms aveva analizzato quattro trattament­i: il remdesivir, appunto, l’idrossiclo­rochina, interferon­e beta e la combinazio­ne di farmaci per l’Hiv lopinavir e ritonavir. Dai risultati pubblicati su più di 11.000 pazienti in 400 ospedali era emerso che nessuna di queste terapie aveva portato a una riduzione significat­iva dei decessi. « Oggi remdesivir, eparina e cortisone sono elencati come terapia standard che ha superato evidenze di primo livello. Invece idrossiclo­rochina e la combinazio­ne di farmaci per l’Hiv, così come il tocilizuma­b possiamo darli per archiviati » , conclude Ciceri.

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Fabio Ciceri. Direttore scientific­o dell’Ospedale San Raffaele di Milano

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