Nel laboratorio di biosicurezza si studia un nuovo monoclonale
Mentre Solidarity, l’unico studio globale promosso dall’Organizzazione mondiale della sanità ( Oms) sui potenziali farmaci anti- Covid- 19 è incredibilmente in pausa, i trial italiani non si fermano e secondo l’ultimo rapporto Aifa sul tema, sono 44 ( il 17,5%) quelli autorizzati e 58 ( il 23%) quelli in valutazione. Si tratta di dati preliminari, che mostrano però che pur in presenza di uno stato di emergenza sanitaria dove la maggior parte delle risorse professionali erano destinate alla cura dei pazienti, il sistema Italia ha generato il 50% dei lavori rispetto a quelli presentati ( 252 in totale, 130 dei quali sono stati rifiutati, ovvero il 51%). Insomma una buona media.
Al primo posto nella classifica stilata da Aifa, con nove studi indipendenti, a cui se ne aggiungono altri sette sponsorizzati da farmaceutiche, c’è l’Ospedale San Raffaele di Milano. « Nei nostri studi abbiamo rivolto attenzione alle tre aree fondamentali di intervento per questa malattia: i farmaci antivirali, che impattano sul virus e sulla sua crescita, le terapie anticoagulanti, che riducono le complicanze trombotiche secondarie alla malattia, e gli antinfiammatori, in risposta all’esagerata reazione del sistema immunitario - ci dice Fabio Ciceri, direttore scientifico dell’Irccs milanese e primario dell’unità di Ematologia e Trapianto di midollo osseo - A questi vanno aggiunti oltre 70 progetti di ricerca di base e la riconversione dell’unico laboratorio ad alta biosicurezza in Italia per lo studio di Sars- CoV- 2 in vivo » .
E proprio grazie a questo laboratorio e la disponibilità di una banca dati di materiale virale di quasi 2mila pazienti, l’Istituto ha avviato lo screening per la ricerca di nuovo anticorpo monoclonale per Covid- 19. « L’obiettivo è quello di avere anticorpi capaci di agire non solo contro spike, che è già presente nella farmacopea, ma che riconoscano anche strutture virali condivise e costanti con altri virus della stessa famiglia, potenzialmente attivi quindi sia sulle varianti di Sars- Cov- 2 sia su futuri coronavirus » .
E sui farmaci in sperimentazione quali conclusioni possiamo trarre? « Oggi siamo nella fase degli studi controllati che da un punto di vista metodologico sono gli unici che possono permetterci di produrre un’evidenza di primo livello per stabilire l’efficacia di un farmaco - riprende Ciceri - Sugli anticoagulanti, per esempio, abbiamo in corso un importante studio propspettico cooperativo, che farà chiarezza su quale farmaco usare, a quale dose, per determinare il rischio- beneficio di una profilassi rispetto a una terapia. E poi nell’ambito della terapia antinfiammatoria abbiamo due studi: uno utilizza un farmaco italiano di Dompè, il reparixin, mentre l’altro impiega l’anticorpo IL1 verso placebo. Sugli antivirali, quello che a oggi possiamo dire è che remdesivir nella nostra esperienza ha dimostrato una comprovata efficacia, a differenza di quanto era emerso dallo studio Solidarity, in particolare nelle fasi precoci della malattia » .
Lo studio globale dell’Oms aveva analizzato quattro trattamenti: il remdesivir, appunto, l’idrossiclorochina, interferone beta e la combinazione di farmaci per l’Hiv lopinavir e ritonavir. Dai risultati pubblicati su più di 11.000 pazienti in 400 ospedali era emerso che nessuna di queste terapie aveva portato a una riduzione significativa dei decessi. « Oggi remdesivir, eparina e cortisone sono elencati come terapia standard che ha superato evidenze di primo livello. Invece idrossiclorochina e la combinazione di farmaci per l’Hiv, così come il tocilizumab possiamo darli per archiviati » , conclude Ciceri.