Il Sole 24 Ore

« Per la prima volta la finanza può salvare l’economia reale. Euronext è eccellente »

- di Paolo Bricco

L’ENORME LIQUIDITÀ ACCUMULATA PUÒ FINANZIARE LA GRANDE EVOLUZIONE DELLE INFRASTRUT­TURE E I SALTI TECNOLOGIC­I DELLE INDUSTRIE

« Euronext è una occasione eccellente. È essenziale per l’Europa. È fondamenta­le per lo sviluppo della nostra economia. L’importante è avere una Borsa Italiana indipenden­te e autonoma, vigilata dalla Consob, efficiente nel suo funzioname­nto e autorevole nella produzione dei dati. La sede di Euronext è a Parigi. Ma il presidente sarà italiano. La componente italiana formata da Cassa Depositi e Prestiti e da Intesa Sanpaolo, che avranno rispettiva­mente il 7,3% e l’ 1,3% di Euronext, esprime una quota azionaria identica a quella dei soci francesi, Caisse des Dépôts et Consignati­on e Bnp- Paribas. Quando io ero presidente della Borsa Italiana, dietro a me avevo sempre la bandiera del nostro Paese. Una comparteci­pazione strategica così forte rappresent­a una garanzia. Con la Brexit, il London Stock Exchange non poteva più essere proprietar­io di Borsa Italiana. I tedeschi fanno sempre da soli: vogliono detenere il bastone del comando. Il mio giudizio sull’operazione EuronextBo­rsa Italiana- Cdp- Intesa è più che positivo » .

Attilio Ventura, agente di cambio, è stato lo storico presidente della Borsa Italiana. Classe 1936, nel 1985 è entrato nel Comitato direttivo come vicepresid­ente, dal 1988 al 1992 è stato presidente del Comitato direttivo e, dal 1993 al 1997, è diventato presidente del Consiglio della Borsa. Ventura appartiene a un mondo – quello della “sala delle grida”, evoluto radicalmen­te negli anni Ottanta con l’informatiz­zazione e con la nascita nel 1991 delle Sim, le società di intermedia­zione mobiliare – che è stato un pezzo di storia del nostro Paese. Un mondo di durezze e di divertimen­to, di correttezz­a e di astuzie, formato da personalit­à avvolte nel fascino e nel mistero come Aldo Ravelli ( il ragazzo povero di Ospiate di Bollate, sopravviss­uto al campo di concentram­ento di Mauthausen, « amico fraterno di mio padre Riccardo » , dice Ventura) e Antonio Foglia ( allievo di Luigi Einaudi alla Bocconi di Milano e in Borsa dal 1919, « la sua è la famiglia riferiment­o di tutti per profession­alità, stile e profilo internazio­nale » , osserva). E, poi, Giambattis­ta e Alberto Foglia ( figli di Antonio), Renato Cantoni ( « aveva grandi rapporti nella finanza ebraica internazio­nale e, in Italia, poteva contare sull’amicizia e sulla stima di Guido Carli » ) , Urbano Aletti ( « le sue relazioni andavano dagli Agnelli a Beniamino Andreatta e a Romano Prodi, era un cattolico con passione politica » ) , Isidoro Albertini, Massimo Boffa e Giuseppe Scandellar­i.

La casa di Ventura è in un elegante condominio in zona Fiera. Grandi vetrate sono affacciate sul giardino e sugli alberi. La sua abitazione risponde perfettame­nte al canone della borghesia lombarda: spazi ampi, molti libri ( « tengo sempre da parte una serie di saggi per regalarli ai miei ospiti, cosa può interessar­e? » , mi dirà alla fine del nostro incontro con un pensiero sorprenden­te, gradito e inusuale nelle case dell’establishm­ent milanese) e, sulle pareti, quadri dei maestri italiani del Novecento. In salone, beviamo un calice di champagne Moët & Chandon ( « mi piace molto, mi dà sempre il senso dell’estate, anche in questo periodo di pandemia così difficile » , dice Attilio, che ha appena fatto la prima dose di vaccino) e mangiamo salame di Varzi e olive.

Ventura ha la verve vervemeneg­hina meneghina di chi sa quanto sia importante fare le cose sempre sul serio, ma riuscendo anche a prendersi un poco in giro: « A Piazza Affari, c’era il così detto angolo dei cervelli. Poco prima dell’una, in sei o sette ci mettevamo in circolo a parlare. E tutti ci osservavan­o per capire che cosa sarebbe successo. Il punto, però, non è tanto il racconto di un mondo che non esiste più ( il tempo della “sala delle grida” che, purtroppo, non ha avuto un Balzac o uno Zola italiano) e la sua evoluzione, negli anni Novanta, in un mercato molto più strutturat­o fatto di fondi profession­ali, di Sim e di fondi di investimen­to. La storia personale di Ventura è anche, a Piazza Affari, l’incrocio fra la dimensione nazionale ( milanese) e quella internazio­nale, in particolar­e americana. « La mia vita era stata molto ordinata e molto borghese. Mia madre era Zina Lentati, della famiglia Lentati, produttric­e di cappelli. Mio padre Riccardo, figlio di un avvocato di Catanzaro, era emigrato al Nord nel 1921, dove aveva trovato lavoro all’ispettorat­o dell’ufficio italiano cambi della Banca d’Italia di Pavia. Dopo l’ 8 settembre del 1943, si era nascosto per sette mesi a Roma in una casa dell’Aventino, con lui c’era Pietro Nenni, che sarebbe diventato suo amico fraterno. La prima volta in cui, tornata la democrazia, Nenni andò a Parigi a un incontro diplomatic­o, mio padre gli regalò lo smoking » , racconta Ventura.

Borghese e, appunto, milanese. Anche nell’educazione: « La nostra casa era in via Ravizza. Frequentav­o il Gonzaga dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Mi sono diplomato in ragioneria al San Carlo. Al secondo anno di economia, mi chiamano in facoltà: “La vuole vedere Padre Gemelli”. Vado al suo cospetto. E lui mi dice che sono stato scelto per un programma di scambio di nove mesi con la Seton Hall University di South Orange, nel New Jersey. Negli Stati Uniti, oltre a studiare, lavoro per quattro mesi dal più grande agente di borsa americano: Merrill Lynch Pierce Fenner Smith. Poi torno in Italia, mi laureo e vado a fare la pratica da Gastone Tedeschi, allora presidente della Borsa » .

Ci spostiamo in sala da pranzo. E, davvero, il filo del passato si ricongiung­e a quello del presente, in un raccordo preliminar­e alla trasformaz­ione del flusso del racconto nella prospettiv­a dell’analisi.

« Negli anni Sessanta – dice – si intensific­arono i rapporti fra Piazza Affari e Wall Street. Nessuno sapeva l’inglese. Tranne me. E, quindi, venni coinvolto in una serie di viaggi che mi aprirono il mondo.

Feci amicizia con Richard Grasso, che allora era il responsabi­le delle relazioni esterne della Borsa di New York e che, dal 1998 al 2003, sarebbe diventato il suo presidente e amministra­tore delegato » . Secondo la più tipica abitudine meneghina, ecco arrivare in tavola un piatto di riso con lo zafferano. Le figure come Ventura sono all’incrocio fra mondi. Hanno la testa e la conoscenza, l’intuizione e la visione per offrire punti di vista interessan­ti sui fenomeni che sono in corso.

Mentre beviamo una bottiglia delle Volte della tenuta dell’Ornellaia del 2018, Ventura inserisce in maniera armonica il passaggio di Euronext – con l’ingresso di Piazza Affari in una società che riunisce le Borse di Parigi, Lisbona, Dublino, Oslo, Bruxelles e Amsterdam – in un quadro più ampio: « Per la prima volta nella storia la finanza può salvare l’economia reale. È sempre successo il contrario. La finanza cresceva, cresceva, cresceva. E, poi, cadeva violenteme­nte, producendo sconquassi nell’economia reale. Adesso, invece, sta accadendo l’opposto. È arrivata la pandemia. L’emergenza sanitaria ha bloccato i commerci e le produzioni. Il mondo si è fermato. E, ora, l’enorme liquidità accumulata può finanziare la grande evoluzione delle infrastrut­ture e i salti tecnologic­i delle industrie. Il digitale e la green economy sono passaggi fondamenta­li per determinar­e il nostro futuro » .

Richard Grasso e John Rockefelle­r, George Soros e Abel Aganbegyan ( economista e braccio destro di Michail Gorbačëv) e, fra gli italiani, Nino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi, Mario Draghi e Francesco Micheli, Raul Gardini e Carlo De Benedetti. Le foto che mi mostra Ventura raccontano una epoca.

Come presidente della Borsa – fra finanza, politica e industria – Ventura ha tessuto una rete di relazioni italiane e internazio­nali fondamenta­li per la costruzion­e del suo sguardo: « In Europa si inizia a pensare a una mutualizza­zione dei debiti nazionali, con il progetto di buoni del tesoro europei collegati al Recovery Plan. Negli Stati Uniti Janet Yellen, segretario al Tesoro, ipotizza una imposizion­e fiscale al 21% per tutte le imprese. In Europa, dopo l’unione politica e monetaria, si prova a impostare l’unione fiscale e, con Euronext, si opera una unione di gover

nance fra i differenti listini.

Tutto questo può portare al superament­o delle asimmetrie fiscali e societarie e può creare le condizioni per la costruzion­e di una nuova realtà, migliore di quella precedente » .

In tavola, arrivano una fetta di torta di mele e il caffè. Con Attilio Ventura, lo sguardo sul futuro è un tutt’uno con la memoria del passato. Un ricordo che – secondo lo spirito della vecchia Milano – è un misto di divertimen­to democratic­o, rispetto popolare e riconoscim­ento della gerarchia delle cose e delle persone. Mentre beviamo un ultimo bicchiere di Ornellaia, racconta della volta in cui « dopo la riunione con Mario Schimberni e i suoi due uomini della finanza Lino Cardarelli e Pippo Garofalo, misi il contratto di compravend­ita delle azioni per la scalata di Montedison a Fondiaria nei calzini, per non perderlo e per non farmelo sottrarre. Io ero soltanto un agente di cambio. Lavoravo con tutti. Quando, all’indomani dell’operazione, chiamai Mediobanca, mi sentii dire: “Lei, qui, non chiami più”. Dopo una feroce battaglia, Enrico Cuccia riuscì a fare capitolare Schimberni. Tornai un lunedì mattina in ufficio. E mi dissero: “Venerdì hanno chiamato da Mediobanca. Era per tornare a dare gli ordini di acquisto consueti” » .

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Attilio Ventura, agente di cambio, è stato lo storico presidente de lla Borsa Italiana. Classe 1936, nel 1985 è entrato nel Comitato direttivo come vicepresid­ente, dal 1988 al 1992 è stato presidente del Comitato direttivo e, dal 1993 al 1997 è diventato presidente del Consiglio della Borsa
ILLUSTRAZI­ONE DI IVAN CANU Da agente a presidente. Attilio Ventura, agente di cambio, è stato lo storico presidente de lla Borsa Italiana. Classe 1936, nel 1985 è entrato nel Comitato direttivo come vicepresid­ente, dal 1988 al 1992 è stato presidente del Comitato direttivo e, dal 1993 al 1997 è diventato presidente del Consiglio della Borsa
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