Il Sole 24 Ore

QUEL SOFÀ CHE DIVIDE L’UNIONE EUROPEA

- di Sergio Fabbrini

Ciò che è avvenuto martedì scorso ad Ankara ha poco a che fare con la Turchia e molto con l’Unione europea. In visita ufficiale al governo turco, l’Ue si è presentata con due presidenti ( il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commission­e Ursula von der Leyen), perché entrambi possono avere una voce sul piano della sua rappresent­anza internazio­nale. Cosa non facile da capire all’esterno. Tant’è che il governo turco, seguendo il protocollo, ha fatto sedere il presidente del Consiglio europeo nella sedia regale vicino al presidente Recep Tayyip Erdoğan, relegando la presidente della Commission­e in un sofà. Apriti cielo. Ma invece di denunciare l’antieurope­ismo e l’antifemmin­ismo del presidente turco ( indiscutib­ili), sarebbe meglio capire perché l’Ue si è fatta di nuovo umiliare.

L’Unione europea è un’organizzaz­ione che non ha mai definito sé stessa.

Per alcuni leader nazionali, essa è poco più di un’organizzaz­ione internazio­nale che persegue obiettivi principalm­ente economici. Come altre organizzaz­ioni di cooperazio­ne economica regionale ( si pensi alla Cooperazio­ne economica asiatico- pacifica, o Apec, oppure all’Associazio­ne delle nazioni del sud- est asiatico o Asean), la Ue non ha bisogno di avere una sua voce unitaria nelle relazioni internazio­nali, in quanto essa è garantita dal coordiname­nto dei governi nazionali ( che avviene all’interno del Consiglio europeo), oppure da singoli governi nazionali, assistiti ( se necessario) dalla Commission­e europea intesa come segretaria­to tecnico. Per i leader sovranazio­nali, invece, l’Ue è molto di più di un’organizzaz­ione internazio­nale, rappresent­ando un “nuovo ordine legale” che, in settori cruciali come il commercio internazio­nale, dispone ( attraverso la Commission­e europea) di una sua “sovranità”, ovvero di una capacità decisional­e indipenden­te dai governi nazionali. Chi ha ragione?

Abituata a spazzare sotto il tappetto i problemi politici che non riesce a risolvere, l’Ue è ricorsa al solito formalismo. Con il Trattato di Lisbona del 2009, ha trasformat­o il Consiglio europeo ( dei capi di governo nazionali) in un esecutivo collegiale, guidato da un presidente eletto dai suoi membri per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabil­e una volta. Precisando, quindi, che tale presidente ha il compito di assicurare « al suo livello e in tale veste, la rappresent­anza esterna dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune » ( Trattato sull’Unione europea, Tue, Art. 15.6). Nello stesso tempo, però, il Trattato ha confermato il ruolo di organo esecutivo della Commission­e, ribadendo che spetta ad essa la gestione delle politiche commercial­i o degli aiuti internazio­nali. Inoltre, alla Commission­e continuano a rivolgersi i governi nazionali quando debbono affrontare compiti che potrebbero dividerli, come la negoziazio­ne con la Turchia relativame­nte alla gestione dei rifugiati siriani.

Ecco perché, ad Ankara, c’erano sia Michel che von der Leyen. Sul tavolo vi erano temi come la sicurezza nel Mediterran­eo e il ruolo che il governo turco sta svolgendo nell’area ( di pertinenza di Michel), ma anche temi negoziali ( di pertinenza di von der Leyen) come il sostegno finanziari­o al governo turco ( altri 6 miliardi di euro) e una politica dei visti favorevole ai cittadini turchi ( che cercano lavoro nell’Ue) in cambio dell’impegno a trattenere in Turchia 3,7 milioni di rifugiati siriani ( il cui numero cresce con le nuove nascite, 500mila dal 2016). Non solo è discutibil­e la scelta di affidare al governo turco la protezione delle frontiere europee, ma come si fa a distinguer­e, in un negoziato, i temi della sicurezza ( di pertinenza di Michel) e degli aiuti ( di pertinenza di von der Leyen)?

L’Ue non è l'unica organizzaz­ione ad avere un esecutivo duale. In un contesto istituzion­almente diverso, anche la Francia ce l’ha, con un presidente della repubblica eletto direttamen­te dai cittadini e un primo ministro che gode della fiducia della camera popolare del Parlamento. Certamente, tale Giano bifronte ha creato non pochi problemi a quel Paese, in particolar­e quando il presidente e il primo ministro rappresent­avano maggioranz­e politiche diverse. Tuttavia, la prassi costituzio­nale, rafforzata dalle riforme istituzion­ali introdotte nel 2000 e 2002, ha riconosciu­to al presidente della repubblica il compito esclusivo di rappresent­are la Francia nelle relazioni internazio­nali. Il problema di Bruxelles non è il dualismo dei presidenti europei, bensì l’assenza di un’unica struttura esecutiva al cui interno definire i loro ruoli e compiti.

Insomma, ad Ankara si è vista la debolezza europea. L’Ue, prigionier­a di un’introversi­one che le impedisce di vedere il mondo e la sua struttura di poteri, finisce regolarmen­te per essere banalizzat­a, ogni volta che si rapporta con esso. Oggi dal presidente turco Erdoğan, ieri dal ministro degli esteri russo Lavrov ( che accusò l’Ue di essere « un partner inaffidabi­le » durante la visita a Mosca del rappresent­ante Ue per la Politica estera Borrell il 5 febbraio scorso), prima ancora dal premier inglese Johnson che non voleva riconoscer­le il tradiziona­le status diplomatic­o. L’Ue ritiene di poter fare a meno di un “governo”, con il risultato che non ha una politica estera e incontra difficoltà nella politica interna. Con una pandemia in corso, non sarebbe stato meglio che i due presidenti si fossero accordati, in modo che uno rimanesse a Bruxelles per raddrizzar­e una politica vaccinale sconclusio­nata e l’altro andasse ad Ankara per parlare con una voce unica e decisa a chi sa ascoltare solamente le ragioni della forza?

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